VENEZIA. Dietro ai suicidi di piccoli imprenditori e artigiani veneti potrebbe esservi la mano della camorra o, meglio del clan dei casalesi. Lo fa intendere l’ex prefetto di Padova Ennio Mario Sodano, ora a Bologna. Per il pubblico ministero veneziano Roberto Terzo, per anni alla Direzione distrettuale antimafia lagunare, i flussi finanziari di provenienza casalese sarebbero stati ben accetti almeno da una parte dell’imprenditoria veneta. Sono dichiarazioni riportate nella relazione della Commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, pubblicata nei giorni scorsi: del Veneto e delle infiltrazioni mafiose si parla in una decina di pagine, riassumendo la visita che una parte della Commissione fece a Venezia il 19 e 20 aprile 2012, in occasione della quale vennero sentiti i prefetti di Venezia Domenico Cuttaia, quello di Padova, i procuratori della Repubblica di Venezia Luigi Delpino e di Padova Mauro Milanese e alcuni pubblici ministeri delle due città venete.
«Il prefetto di Padova», si legge nella relazione, «ha evidenziato che sul territorio esiste una scarsa consapevolezza dei rischi di penetrazione della mafia nell’economia, in ragione del fatto che gli imprenditori ritengono ingenuamente di potersi servire dei mafiosi per superare il momento di crisi quando, per contro, finiscono per rimanere complete vittime con la perdita del controllo delle aziende. Ha fatto riferimento alla decina di suicidi di piccoli imprenditori ed artigiani a Padova, lasciando intendere che dietro queste tragedie possa esservi stata una presa di consapevolezza tardiva del meccanismo sopra descritto». I parlamentari spiegano che la necessità del viaggio in Veneto era stato confermata da un lato da allarmanti episodi criminali nel Veneziano, «danneggiamenti a strutture imprenditoriali come gli incendi che hanno colpito la Eco-Energy di Noventa di Piave e la Idealservice di Ballò di Mirano, per altro aziende entrambe operanti nel settore dello smaltimento di rifiuti»; dall’altro lato la scelta di Padova da parte di Salvuccio Riina, figlio del boss Totò, quale comune di residenza per l’obbligo della sorveglianza. Per i prefetti di Venezia e Padova, comunque, «non si registra nel Veneto una presenza radicata di organizzazioni criminali di stampo mafioso» e neppure «tentativi preoccupanti di infiltrazione di mafie nelle amministrazioni pubbliche».
Il pubblico ministero veneziano Terzo, che ha coordinato le indagini che hanno sconfitto un’organizzazione legata ai casalesi che prima usurava e poi passava a controllare decine di piccole imprese venete, ha specificato «che i flussi di liquidità di provenienza casalese trovano fertile terreno d’impiego nel Veneto non solo per la pesantissima crisi economica, ma anche perché gli imprenditori locali non si fanno scrupoli ad impiegare denaro mafioso e a prestarsi a tale infiltrazione». E ancora è stato ribadito, anche dal procuratore generale Pietro Calogero in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, «che l’intero sistema economico-finanziario non fornisce garanzie di rispetto della legalità e di tenuta del sistema dei controlli, non esistono garanzie dal sistema bancario… anche dai commercialisti non vengono rilevanti segnalazioni, essendo più interessati ad avere clienti che alla veridicità dei conti».
Infine, le note critiche: la prima raccolta dalla dichiarazioni ancora una volta del pm Terzo, che vengono definite «lucida analisi», con le quali ha sottolineato che le «forze di polizia si muovono in un’ottica diversa da quella della magistratura, preferendo indagini come quelle sul narcotraffico, che garantiscono molti risultati in termini di arresti a fronte di un relativo poco impegno». La seconda riguarda la Procura di Padova: «Si può affermare», si legge nella relazione, «una sostanziale mancanza di attitudine e pratica operativa dei magistrati di quell’Ufficio nella gestione del fenomeno dell’infiltrazione mafiosa», ricordando però subito dopo e in contraddizione con la prima affermazione che «ciò appare fisiologico per una Procura ordinaria che non ha istituzionalmente la perfetta cognizione di tutti i meccanismi ed episodi di infiltrazione mafiosa sul territorio». E si legge poi nelle note che nel suo intervento il procuratore Milanese ha testualmente affermato che «nel silenzio del ricco nord si opera attraverso partecipazioni di cui questa procura, onestamente, non ha prova, ma di cui ha conoscenza tramite fatti viceversa verificatisi da altre parti, noti dalla lettura dei giornali». Vengono anche riportare le dichiarazioni del procuratore aggiunto Matteo Stuccilli, il quale ha sostenuto che «nel recente passato il Veneto è stato luogo di passaggio e di copertura per mafiosi e latitanti (tra essi anche i fratelli Graviano, poco prima del loro arresto». Boss di Cosa nostra palermitana coinvolti anche nelle indagini sulle stragi Falcone e Borsellino.
dal Mattino di Padova