Due anni fa, l’11 aprile del 2012, ha ricevuto la ‘visita’ di Mario Messina Denaro, cugino della primula rossa di Cosa Nostra, Matteo. Era venuto a proporle un affare
a cui non poteva dire no. Ma Elena Ferraro, giovane imprenditrice di 35 anni, non ha avuto dubbi. Si è recata in Questura e ha denunciato tutto. Un anno dopo sono arrivati gli arresti. La sua è la storia di una ribellione di una donna in una terra difficile, quella che ha dato i natali al capo di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro: Castelvetrano (Trapani).
«Mario Messina Denaro – ha raccontato all’Adnkronos Elena Ferraro, legale rappresentate di un centro di diagnostica a Castelvetrano – si presentò nel mio studio, senza nemmeno dirmi il suo nome di battesimo, ma ricondandomi minacciosamente di essere ‘il capo di tutto’. Poi mi propose un affare: una convenzione con una clinica di ortopedia di Partinico, nel palermitano. Io avrei dovuto fare delle fatture gonfiate e il denaro in più che ne avrei ricavato avrei dovuto consegnarlo a lui. Mi disse esplicitamente che quei soldi servivano a sostenere le famiglie dei detenuti». Ma la giovane imprenditrice non ci pensò due volte. Ando’ in questura e denunciò tutto.
Una scelta di legalità che già in passato aveva fatto, quando a Salemi, in un altro centro da lei diretto aveva licenziato un tecnico di radiologia con parentele ‘importanti’. «Anche in quella occasione subii pressioni per riassumerlo – dice ancora -, ma rimasi ferma sulla mia posizione». Mario Messina Denaro tornò ancora nel centro. «Veniva con la scusa di ritirare analisi ed esami – prosegue Ferraro – ma per ricordarmi l’affare in sospeso».
Una donna coraggio? “No, per me è stata una reazione normale – dice ancora -, sono cresciuta con certi valori, ho vissuto lo sgomento delle stragi di mafia, non avrei potuto fare un’altra scelta. Oggi grazie alla vicinanza delle associazioni antiracket mi sento protetta, hanno stretto un vero e proprio cordone intorno a me. Vorrei dire a chi si trova nella mia situazione di denunciare. Si può farlo anche
anche se si è un giovane imprenditore, se si è donna e si vive in Sicilia». Qualcosa è cambiato negli ultimi anni anche a Castelvetrano? «Direi di si. Prima non si poteva nemmeno nominare la parola mafia – conclude – oggi anche grazie al lavoro delle scuole, si va affermando una forte cultura antimafia».