Scarpinato: “A Trapani comanda la mafia dei colletti bianchi”

«Nel trapanese l’economia non è zavorrata dal racket delle estorsioni, ma da pezzi di classe dirigente. Questo è il dramma». Lo ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato, nel corso della conferenza stampa a Trapani per illustrare i risultati dell’ultima operazione contro Cosa Nostra. Per Scarpinato «se continuiamo con le fiction televisive di Riina e Provenzano, se nei dibattiti antimafia si continua a dire che il male è soltanto il pizzo, la mafia non la sconfiggeremo mai. Dobbiamo compiere un salto di qualità culturale – ha aggiunto – i media devono aiutarci a far capire che la mafia non è bassa macelleria criminale; oggi la mafia i soldi li fa con la testa e non con i muscoli, studiando l’ordinamento per perseguire il massimo dei profitti con il minimo sforzo». Per il magistrato, «una mafia che pensa mette in campo degli insospettabili».

«A Trapani, terreno elettivo della mafia dei colletti bianchi – ha proseguito – Cosa Nostra si avvale della complicità di avvocati, ragionieri, esperti che studiano come annullare gli effetti dei provvedimenti adottati dalla magistratura». Secondo il magistrato, ciò che è stato scoperto con l’operazione ‘Cosa nostra resort’ sulle truffe attraverso la legge 488 «è soltanto una punta dell’iceberg». E non è un caso se «in Irlanda o in Spagna – ha concluso – i finanziamenti pubblici hanno rappresentato un volano per l’economia, mentre nel Meridione d’Italia sono finiti nella voragine dell’economia mafiosa».

«A Trapani il pizzo lo pagano in pochi». Lo sostiene il capo della Mobile, Giuseppe Linares, secondo cui quella trapanese è prevalentemente una «Cosa Nostra dei salotti con potenti collegamenti istituzionali», una sorta di «borghesia mafiosa che coopta imprenditori» e che rivolge le sue attenzioni verso reati puniti con pene minori, «come la truffa, ad esempio». Altra particolarità che caratterizzerebbe Cosa Nostra trapanese è quella del silenzio. «Mentre gli affiliati del clan Lo Piccolo – ha sostenuto Linares – decidevano di collaborare con lo Stato, dalle carceri i reclusi trapanesi facevano pervenire il messaggio che non si parla e non si patteggia».[ad#co-11]