di Nino Amadore
La Calabria mi sorprende sempre. A volte in bene, con storie interessanti e meravigliose di persone perbene che si battono per cambiare la loro terra. A volte, invece, per la pedante ambiguità, per la superficialità con cui vengono affrontati argomenti delicati come può essere la legalità, il rispetto delle regole, l'atteggiamento da seguire nei confronti della parte malata della società, la lotta alla 'ndrangheta.
Non è del tutto chiara, a me sembra, la necessità di una scelta radicale: o di qua o di là, senza vie di mezzo. Magari, di fronte alle difficoltà, uno pensa di buttarla nel privato, di risolvere nel chiuso di una stanza in un ritirato soliloquio la questione che si apre di volta in volta con la propria coscienza. Ma non è tempo di intime riflessioni: ci sono scelte urgenti da fare, occorre prendere posizione. Con coraggio. Ecco perché non mi sembra opportuno accettare che attorno a me si riproduca in piccolo l'equivoca tavola rotonda del siamo tutti amici, siamo tutti uguali, vogliamo tutti la stessa cosa. Non è vero che vogliamo tutti la stessa cosa perché c'è chi per anni ha ritenuto normale l'amicizia di un boss e c'è chi invece da anni vive una vita blindata e di sacrifici e non ha mai accettato compromessi. Non è una questione semplice manicheismo, poiché la vita si sa è più complessa di quanto si possa immaginare. Ma non v'è dubbio che sono necessarie scelte, spiegazioni, argomentazioni, prove. La Calabria di oggi, ho detto tante volte, mi assomiglia tanto alla Palermo degli anni Settanta e Ottanta, una regione allo stato melmoso in cui la melma prova a coprire e a corrompere tutti. E' difficile resistere in questo stato ma occorre ergere un argine contro la melma.