REGGIO CALABRIA Una ‘ndrangheta sempre più ramificata nelle regioni del nord dell’Italia con una capacità sempre più forte di infiltrarsi nella politica e negli affari; il ruolo delle donne nella gestione delle cosche e una nuova stagione di pentiti. Sono questi alcuni degli elementi emersi nel corso del 2011 sul fronte della ‘ndrangheta in Calabria e nelle sue proiezioni in altre regioni italiane. Numerose inchieste condotte in Lombardia, Piemonte e Liguria hanno dimostrato come con il passare degli anni gli esponenti delle cosche calabresi che si sono trapiantati al Nord hanno costituito dei “locali” riuscendo a gestire pacchetti di voti, appalti pubblici ed esercizi commerciali, influenzare la vita pubblica. Ma l’inchiesta che sicuramente ha suscitato maggiore scalpore è stata l’ultima, quella condotta dalla Dda di Milano che ha portato all’arresto del consigliere regionale della Calabria Francesco Morelli, del giudice Vincenzo Giglio e dei presunti boss della cosca Valle-Lampada.
Dall’indagine “Infinito” è emerso come gli esponenti della cosca siano passati da gestori di una macelleria e di una pizzeria a Reggio Calabria a gestori di locali pubblici e del noleggio di macchinette da gioco a Milano e in Lombardia, con propaggini importantissime nel mondo della politica calabrese. E sulla presenza della ‘ndrangheta al Nord il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, nel corso dei mesi, ha più volte ribadito che «al Nord non è una novità. C’è stata, c’è e ci sarà ancora». Le cosche diventano sempre più forti anche grazie alla capacità economica che gli consente di gestire una serie di attività economiche. Il 2011, ad esempio, è stato l’anno della confisca de “Il Café de Paris”, il noto locale di Via Veneto a Roma che per anni è stato il simbolo della “dolce vita”. Il locale era nella disponibilità di affiliati della cosca degli Alvaro di Cosoleto. Gli affari delle cosche hanno raggiunto anche i “paradisi fiscali” come quello della Repubblica di San Marino. Nei mesi scorsi, infatti, una inchiesta della Dda di Catanzaro ha portato all’arresto dei vertici del Credito Sammarinese che aveva aperto le porte alle cosche della ‘ndrangheta vibonese per il deposito di denaro proveniente dal traffico internazionale di droga. In questi mesi si è concretizzata anche una nuova stagione del pentitismo che ha fatto luce sugli affari, i reati e i collegamenti delle cosche. In cima alla lista c’è sicuramente la collaborazione di Nino Lo Giudice le cui dichiarazioni hanno portato a far luce sulla stagione della tensione contro i magistrati reggini. Le dichiarazioni del “Nano”, inoltre, hanno portato ad una indagine sul numero due della Direzione nazionale antimafia, Alberto Cisterna.
Con il passare degli anni diventa sempre più forte il ruolo delle donne nelle cosche. La dimostrazione arriva, ad esempio, da Giuseppina Pesce, la figlia del boss Salvatore, che ha poi deciso di avviare una collaborazione con la giustizia. Le sue dichiarazioni hanno portato all’arresto della madre e della sorella oltre alla cattura di Francesco Pesce, il rampollo della famiglia che per anni ha trascorso la sua latitanza tra champagne e web. Tra le donne che hanno deciso di tagliare il cordone ombelicale con la ‘ndrangheta c’è anche Rosa Ferraro, la collaboratrice di giustizia che dal giugno 2006 vive sotto protezione in una località segreta dopo che la polizia penitenziaria ha scoperto un progetto di omicidio ai suoi danni da parte di esponenti della cosca Pesce. Non è riuscita a completare il suo percorso la testimone di giustizia, Maria Concetta Cacciola, di 31 anni che nell’agosto scorso si è suicidata ingerendo dell’acido muriatico. La donna era la figlia di Michele Cacciola, a sua volta cognato del boss Gregorio Bellocco, capo dell’omonima cosca di Rosarno. Il 2011, infine, è stato anche l’anno delle condanne per la faida di San Luca che culminò nella strage di Duisburg. Nel luglio scorso la Corte d’assise di Locri ha emesso la sentenza nei confronti di 14 imputati di cui 8 sono stati condannati all’ergastolo. Tra questi c’è anche Giovanni Strangio ritenuto l’ideatore ed uno degli esecutori materiali della strage compiuta in Germania. A distanza di soli tre mesi dalla sentenza per la faida uno dei presunti boss delle cosche di San Luca, Antonio Pelle, detto “la mamma” è evaso dall’ospedale di Locri dove si trovava ricoverato.
Dall’indagine “Infinito” è emerso come gli esponenti della cosca siano passati da gestori di una macelleria e di una pizzeria a Reggio Calabria a gestori di locali pubblici e del noleggio di macchinette da gioco a Milano e in Lombardia, con propaggini importantissime nel mondo della politica calabrese. E sulla presenza della ‘ndrangheta al Nord il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, nel corso dei mesi, ha più volte ribadito che «al Nord non è una novità. C’è stata, c’è e ci sarà ancora». Le cosche diventano sempre più forti anche grazie alla capacità economica che gli consente di gestire una serie di attività economiche. Il 2011, ad esempio, è stato l’anno della confisca de “Il Café de Paris”, il noto locale di Via Veneto a Roma che per anni è stato il simbolo della “dolce vita”. Il locale era nella disponibilità di affiliati della cosca degli Alvaro di Cosoleto. Gli affari delle cosche hanno raggiunto anche i “paradisi fiscali” come quello della Repubblica di San Marino. Nei mesi scorsi, infatti, una inchiesta della Dda di Catanzaro ha portato all’arresto dei vertici del Credito Sammarinese che aveva aperto le porte alle cosche della ‘ndrangheta vibonese per il deposito di denaro proveniente dal traffico internazionale di droga. In questi mesi si è concretizzata anche una nuova stagione del pentitismo che ha fatto luce sugli affari, i reati e i collegamenti delle cosche. In cima alla lista c’è sicuramente la collaborazione di Nino Lo Giudice le cui dichiarazioni hanno portato a far luce sulla stagione della tensione contro i magistrati reggini. Le dichiarazioni del “Nano”, inoltre, hanno portato ad una indagine sul numero due della Direzione nazionale antimafia, Alberto Cisterna.
Con il passare degli anni diventa sempre più forte il ruolo delle donne nelle cosche. La dimostrazione arriva, ad esempio, da Giuseppina Pesce, la figlia del boss Salvatore, che ha poi deciso di avviare una collaborazione con la giustizia. Le sue dichiarazioni hanno portato all’arresto della madre e della sorella oltre alla cattura di Francesco Pesce, il rampollo della famiglia che per anni ha trascorso la sua latitanza tra champagne e web. Tra le donne che hanno deciso di tagliare il cordone ombelicale con la ‘ndrangheta c’è anche Rosa Ferraro, la collaboratrice di giustizia che dal giugno 2006 vive sotto protezione in una località segreta dopo che la polizia penitenziaria ha scoperto un progetto di omicidio ai suoi danni da parte di esponenti della cosca Pesce. Non è riuscita a completare il suo percorso la testimone di giustizia, Maria Concetta Cacciola, di 31 anni che nell’agosto scorso si è suicidata ingerendo dell’acido muriatico. La donna era la figlia di Michele Cacciola, a sua volta cognato del boss Gregorio Bellocco, capo dell’omonima cosca di Rosarno. Il 2011, infine, è stato anche l’anno delle condanne per la faida di San Luca che culminò nella strage di Duisburg. Nel luglio scorso la Corte d’assise di Locri ha emesso la sentenza nei confronti di 14 imputati di cui 8 sono stati condannati all’ergastolo. Tra questi c’è anche Giovanni Strangio ritenuto l’ideatore ed uno degli esecutori materiali della strage compiuta in Germania. A distanza di soli tre mesi dalla sentenza per la faida uno dei presunti boss delle cosche di San Luca, Antonio Pelle, detto “la mamma” è evaso dall’ospedale di Locri dove si trovava ricoverato.
Massimo Lapenda (Ansa)