‘Ndrangheta: lettere al carcere. La fine missiva di Rosario Vasta al “caro fratello” Pasquale Inzitari

“Ti abbraccio, fratello mio”. Così si rivolge Rosario a Pasquale, con toni da rimpatriata fra emigrati, da compaesani in una chiesa di un piccolo centro. In realtà, “Rosario” è l’imprenditore Rosario Vasta, il cui apporto anni fa fu decisivo per la cattura di Teodoro Crea, considerato dagli investigatori fra i più potenti capibastone della ‘ndrangheta calabrese. E “Pasquale” è il suo ex-socio in affari Pasquale Inzitari: già vicesindaco di Rizziconi (piccolo centro della Piana di Gioia Tauro ripetutamente commissariato per infiltrazioni mafiose), poi per anni consigliere provinciale dell’Udc di Pierferdinando Casini, partito in cui tentò pure la scalata alla segreteria provinciale di Reggio Calabria, dopo candidato al Senato. E salvato appena in tempo.

 

A quanto pare, infatti, Inzitari era il secondo nella lista. Il virtuale elenco dei “nemici giurati” del clan Crea che, stando agli inquirenti, dopo l’arresto dell’ex capocosca Teodoro, letteralmente “teleguidato” dai titolari dell’importante centro commerciale “Il Porto degli ulivi” attraverso una serie di telefonate a catena, a quegli imprenditori l’avevano giurata. E anche a Nino. Soprattutto a Nino.

Nino Princi, l’affermato imprenditore del settore abbigliamento, l’ex vicepresidente del Catanzaro Calcio. Nino Princi, il cognato di Inzitari e il socio occulto del Porto degli ulivi. Nino Princi il genero di Mico Rugolo: anche lui un “pezzo da 90” – in questo caso, delle ‘ndrine di Castellace di Oppido Mamertina – che avrebbe contribuito in maniera decisiva con le sue informazioni, poi “girate” da Princi ai due soci di business nella gdo, alla cattura del boss in carrozzella, Crea.

Nino Princi, quello saltato in aria insieme alla sua Mercedes un giorno di fine aprile e morto dopo 12 penosi giorni d’agonia senza più braccia né gambe.

 

Ma Inzitari, “il secondo nella lista”, quello che ebbe il figlio accoltellato per aver denunciato il clan Crea che gli chiedeva il “pizzo”, è stato arrestato poco meno di un anno fa. E Rosario Vasta, “nel 317° giorno della sua detenzione”, gli ha scritto sulla stampa locale una lunga “lettera aperta” pubblicata a pagamento e che, secondo i più fini mafiologi e analisti delle vicende del crimine organizzato, profuma di “messaggio cifrato”.

 

“Ti carceravano e ti volevano proteggere, ci volevano proteggere. Ci siamo abbracciati e piangendo mi hai detto di partire, di andare via. Sono rimasto per condividere con te un’amicizia che non è fatta di parole, non è stata d’interesse e che s’è nutrita di libertà e di sogni. Ma noi non potevamo sognare! – scrive Vasta –. Non lo potevamo a Rizziconi che è terra non liberata e viviamo come possiamo. Abbiamo la consapevolezza dei rapporti di forza, della debolezza delle istituzioni e della loro sostanziale incapacità di essere la sola Legge del territorio, anche oggi, anche ora>. Per questo, scrive l’imprenditore, che apparentemente si descrive come stretto tra l’incudine della voglia di legalità e il martello di cosche spietate, “quando sei costretto a funambolismi, prove incredibili di equilibrismo, umiliazioni e sofferenze; quando sei costretto ad apparire quello che non sei o viceversa; quando accetti questo e tanto altro ancora per non dargliela vinta del tutto, per poter continuare a vivere qui, per poter ancora sognare, non sei un vigliacco e non sei un colluso, Pasquale. Sei semplicemente un cittadino che vive in un lembo di terra senza libertà e cerca di non sacrificare a questo destino la vita, gli affetti, gli averi e senza andarsene via lontano”.

 

E poi però due denunce, in grassetto, tonanti, nei confronti dei magistrati.

Intanto perché Princi non è stato descritto dagli inquirenti come “martire di ‘ndrangheta” ma come soggetto assassinato in una sorta di regolamento di conti, perché “…c’è sempre chi usando il bilancino del farmacista ti spiega che c’è vittima e vittima. E così sei vittima due volte”.

E poi la protesta per la protratta detenzione del sodale Pasquale Inzitari: “E’ ormai insopportabile per la mia coscienza – scrive Vasta – e io la denuncio davanti alla gente perbene come assurda e ingiusta. E sento il bisogno di affermarlo e di gridarlo. Ogni silenzio è complice dell’ingiustizia. E io non voglio questa complicità”.

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