E’ “indiscutibile” il collegamento “fattivo e stabile” della cosca mafiosa “facente capo a Giuseppe Salvatore Riina” con la “piu’ ampia associazione madre, denominata Cosa Nostra”. Lo sottolinea la seconda sezione penale della Cassazione, spiegando perche’, l’8 gennaio scorso, decise di confermare la condanna a 8 anni e 10 mesi di reclusione per associazione mafiosa inflitta dalla Corte d’appello di
Palermo, in sede di rinvio, al figlio del boss Toto’ Riina, che cosi’ e’ tornato in carcere per scontare la condanna definitiva. L’organizzazione facente capo a Riina jr rappresenta, si legge nella sentenza n.4471, “non gia’ un gruppo criminale a se’ stante, ma un’articolazione di quest’ultimo sodalizio mafioso”, come “desumibile dal tenore delle varie intercettazioni” vagliate dai giudici del merito. Tale “collegamento – aggiunge la Suprema Corte – e’ stato desunto dai colloqui captati dagli investigatori, riguardanti la struttura della cosca, il ruolo di ciascun partecipante, il controllo esercitato soprattutto sul territorio corleonese”. Dalle intercettazioni, osservano ancora gli ‘ermellini’, la Corte palermitana ha evidenziato “il ruolo di promotore ed organizzatore del Riina nell’ambito della cosca corleonese”, sulla linea di quanto gia’ chiarito dai giudici di primo grado, nella cui sentenza “si precisava come non fosse stato contestato a Giuseppe Salvatore Riina di aver occupato una posizione di ‘assoluta sovraordinazione’ in Cosa Nostra, rispetto a tutti gli altri aderenti, ma di avere organizzato, istruito, indirizzato una cosca, una cellula, un gruppo di altri giovani appartenenti, operanti tra il territorio corleonese e quello cittadino palermitano, secondo moduli di impostazione mafiosa e per il perseguimento consapevole degli obiettivi di affermazione, consolidamento di quell’associazione a delinquere”.