Cifre da capogiro realizzate facendo affari in maniera illegale e ricorrendo a trucchi contabili come quello delle società occultate nelle cosiddette scatole cinesi o ricorrendo a prestanome per aggirare i controlli. Espedienti che hanno fatto registrare alle mafie ricavi in Italia che hanno un valore medio di 10,6 miliardi di euro annui (con una forbice che va da un minimo di 8,3 a un massimo di 13), pari allo 0,7% del Pil, cioè 178 euro per abitante.
Fonte principale degli introiti illeciti sono le estorsioni e il traffico di stupefacenti. A conseguire le maggiori entrate in milioni di euro sono camorra e ‘ndrangheta, con profitti pari rispettivamente al 35 e al 32% di tutti i ricavi mafiosi. E’ quanto emerso dal rapporto di Transcrime intitolato ‘L’espansione e il peso dell’economia criminale’, presentato dal professore Ernesto Savona, dell’Università di Milano, alla seconda conferenza del progetto educativo antimafia promosso dal Centro Pio La Torre a Palermo. L’analisi mostra come i settori economici prediletti dalle mafie per i propri investimenti illeciti siano quello del commercio all’ingrosso e al dettaglio (29,4%), costruzioni (28,8%), albergo e ristoranti (10,5%), attività immobiliari, noleggio e informatica (9%), agricoltura, caccia e pesca (6,5%).
Il tasso più alto delle aziende mafiose e’ concentrato nel Sud Italia, ma anche alcune province del Nord (Milano, Lecco, Brescia, Como, Bologna) mostrano un’alta presenza di aziende mafiose. Dal rapporto emerge come le aziende mafiose preferiscano operare in territori dove sia già alta la presenza dei boss, con bassa competitività straniera, e in settori ad alta intensità di manodopera e a bassa tecnologia. Rilevanti sono anche i settori collegati alla pubblica amministrazione, mostrando come, negli investimenti mafiosi nelle aziende, il controllo del territorio e il consenso sociale appaiano determinanti per il proprio profitto.
Nelle modalità di controllo delle aziende mafiose vengono preferite le società a responsabilità limitata (su 1667 imprese confiscate erano il 46,7%) facili da costruire e gestire, utili per occultare la proprietà. La criminalità organizzata, inoltre, ricorre ampiamente ai propri parenti come prestanome, ricorrendo solo marginalmente a manager e professionisti esterni; preferisce le partecipazioni incrociate e il sistema delle ‘scatole cinesi’, fa un uso ridotto delle imprese registrate all’estero e ha necessità – soprattutto la ndrangheta – di esercitare un controllo diretto dell’impresa. “Il Mezzogiorno non è più uguale a quello di 20 anni fa, non è vero che in questi anni non è cambiato niente – ha detto l’assessore regionale al Bilancio, Luca Bianchi rivolgendosi agli studenti – in questi anni il progresso delle tecnologie ha diminuito di molto quella dimensione periferica che ha connotato il ruolo dei vostri coetanei di tanti anni fa e questo ha cambiato anche la percezione della partecipazione politica da parte dei giovani, permettendo di controllare meglio la trasparenza degli atti amministrativi. La vera lotta alla mafia si fa riducendo le disuguaglianze”.(ANSA).