Mafia. I misteri di don Vito Ciancimino tra affari e trame di Stato

di Nino Amadore
Non un uomo di rispetto mafioso ma un uomo dello Stato. O forse ambedue le cose. E’ questa l’immagine di don Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo morto nel 2002, che emerge dai racconti che il figlio Massimo fa ai magistrati delle procure di Palermo e Caltanissetta che indagano sulla presunta trattativa tra Stato e mafia in quella terribile estate del 1992 (subito dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D’Amelio, ovvero dopo la morte di Falcone e prima della morte di Borsellino)  e che sarebbe proseguita poi garantendo impunità a mafiosi di ogni razza a partire da Bernardo Provenzano.
Anzi soprattutto a Bernardo Provenzano. E proprio questa tesi sopravanza nei verbali che i magistrati palermitani,  i pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia, hanno depositato al processo nei confronti dell’ex comandante del Ros dei carabinieri Mario Mori e e del colonnello Obinu, imputati per aver favorito la latitanza di Provenzano e per il mancato arresto del capomafia nel casolare di Mezzojuso in provincia di Palermo. Sarebbero stati loro a trattare con la mafia per far cessare le bombe e sarebbero stati loro a ricevere e girare a chi di dovere l’ormai famoso papello. Don Vito, uomo di rispetto per i mafiosi e uomo di Stato per altri (compresi alcuni politici), continuava ad avere da anni rapporti con i servizi segreti e in particolare con tale Franco o Carlo. Almeno questo dice il figlio Massimo. Il quale aggiunge particolari inquietanti che portano alla Notte della Repubblica, secondo una felice definizione che ne dette l’attuale presidente della commissione di vigilanza della Rai Sergio Zavoli: al sequestro Moro e al misterioso attentato all’aereo Itavia in servizio tra Bologna e Palermo (correva l’anno 1980).
Nel primo caso, cioè per il sequestro di Moro, quando i servizi avrebbero chiesto a Provenzano di intervenire per non far liberare il presidente della Dc, sequestrato dalle Brigate Rosse. Per Moro, per ben due volte i Servizi avrebbero chiesto a Provenzano di non intervenire. Dall’ex ministro della Difesa Attilio Ruffini, invece, don Vito avrebbe saputo del coinvolgimento di un aereo francese nell’abbattimento del Dc 9 Itavia. Per l’omicidio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, il misterioso uomo dei Servizi (di nome Franco o Carlo, mai identificato) e lo stesso Provenzano avrebbero detto a Ciancimino senior che si sarebbe trattato di un non meglio precisato “scambio di favori” tra i terroristi neri, autori del delitto avvenuto il 6 gennaio 1980, e i boss mafiosi, che avevano interesse a eliminare l’esponente Dc.  “Mio padre mi disse che aveva avuto rapporti con i Servizi -racconta Ciancimino- e aveva avuto anche incontri perché voleva spiegazioni visto l’anomalia, mio padre diceva, dell’esecuzione dell’onorevole Mattarella. Mio padre, a sua volta, anzi mi raccontò che aveva parlato con un poliziotto, forse con Purpi, gli aveva raccontato che secondo lui c’era la mano anche dei Servizi nell’omicidio Mattarella. Mi disse che il dottor Purpi sicuramente gli aveva raccontato tutta sta storia…”.  Alla domanda dei pm su quale fosse l’anomalia a cui faceva riferimento, Ciancimino replica: “che si erano serviti di manovalanza romana legata alle, non so, ai brigatisti rossi, neri, non mi ricordo”. Insomma, secondo Ciancimino junior l’omicidio Mattarella sarebbe stato uno “scambio di favori”. Tutti fatti dai contorni inquietanti e misteriosi e in alcuni casi don Vito avrebbe appreso tutto dal misterioso uomo dei servizi segreti. Certo è che, a un certo punto, Massimo racconta anche della vicinanza del padre a Gladio e dei rapporti che suo nonno Giovanni avrebbe avuto con gli americani, con un ruolo importante anche nello sbarco in Sicilia e una certa abilità nel tradurre lo slang dei marines in corleonese. Tra i documenti consegnati da Ciancimino Junior i magistrati trovano un altro manoscritto più piccolo che si apre con la dicitura: “Gladio per Serravalle era una copertura, già nel passato in cui ne ero a capo ho sospettato che Gladio fosse una struttura che servisse da copertura a qualcosa di nascosto, a un magma che vi navigava sotto e che doveva restare segreto. lo ha detto il Generale Gerardo Serravalle dal ’71 al ’74 a capo di Gladio”. Cosa intendesse dire può anche non essere un mistero oggi, alla luce dedl libro L’Anello della repubblica di Stefania Limiti: magari il magma a cui si riferisce il manoscritto è proprio quel servizio di cui pochi conoscevano l’esistenza. Alla domanda se don Vito facesse parte di Gladio il figlio risponde:Mi disse di sì. Mi disse per l’origine c’era anche il discorso di suo papà, perché mio papa, mio nonno Giovanni era stato assoldato all’epoca dello sbarco come interprete, perché era uno dei pochi corleonesi che sapeva l’inglese, perché era torn… uno di quelli che era tornato da Corleone, sapeva l’americano perché mio papà aveva perso un fratello in quel periodo per cui mio papà, mio nonno è stato assoldato da quello che a suo tempo si chiamavano i Marines, per fare da interfaccia tra i militari americani e…” E poi Ciancimino Junior dagli omicidi di Michele Reina e Pietro Scaglione a quello di Piersanti Mattarella. E riferisce di presunte tangenti che sarebbero state “consegnate da Romano Tronci all’onorevole Enrico La Loggia” (ex Dc, poi ministro di Forza Italia), ma anche di “una somma di denaro (duecentocinquantamila euro) personalmente ed urgentemente consegnata da egli stesso (Ciancimino junior, ndr) nel 2005 a Gianni Lapis e destinata al senatore Carlo Vizzini” (senatore del Pdl, membro della commissione Antimafia). Il senatore Marcello Dell’Utri, secondo quanto racconta Massimo Ciancimino alla fine del 2009 ai magistrati di Palermo, sarebbe stato “l’unico, secondo mio padre, avvicinabile e l’unico che secondo mio padre poteva avere accesso diretto a quello che era la compagine governativa e poteva assicurare di fatto qualche buon esito”. Il nome del senatore del Pdl viene fuori dopo la lettura di una missiva portata da Massimo Ciancimino ai pm della Dda e che sarebbe stata consegnata allo stesso dichiarante dal boss Bernardo Provenzano. Una lettera che sarebbe stata consegnata l’11 settembre del 2001, “il giorno delle torri gemelle di New York”, come spiega lo stesso Ciancimino junior. “Carissimo Ingegnere – si legge nella lettera che avrebbe scritto il boss Provenzano – ho letto quello che mi ha dato M. (secondo Ciancimino M. sarebbe lo stesso Massimo ndr), ma a scanso di equivoci ho riferito che ne parlerò quando ci sarà, ci sarà possibile vederci. Mi e’ stato detto dal nostro Sen. e dal nuovo Pres. che spingeranno la nuova soluzione per la sua sofferenza. Appena ho notizie ve le faro’ avere, so che l’av. è benintenzionato. Il nostro amico Z ha chiesto di incontrare il Sen. Ho letto che a lei non ha piacere e bisogna prendere tempo si tratta di nomine nel gas, mi ha detto che vi trovate in Ospedale che la salute vi ritorni presto e che il buon Dio ci assista”. In quel periodo, secondo Ciancimino junior, l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino sarebbe stato ricoverato in un ospedale di Roma per eseguire delle anlisi cliniche. “Il plico – spiega Ciancimino – e’ stato personalmente per me, da me ritirato da Lo Verde (cioè Provenzano ndr) in busta chiusa e consegnato a mio padre in un periodo di degenza che stava effettuando presso la struttura sanitaria, una Clinica privata ai Parioli, non mi ricordo bene adesso se si chiama Villa Paideia o Mater Dei”. Alla domanda dei magistrati su chi fosse il ‘Pres.’ di cui parla Provenzano, Massimo Ciancimino sostiene che si tratti dell’ex Governatore siciliano salvatore Cuffaro. “Pres è il Presid? il Presidente Cuffaro – dice – perchè mio padre diceva che nell’Udc poteva, era sicuramente un bell’ago della bilancia”.
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