di Nino Amadore
Quando i cosiddetti forcaioli si inteneriscono per la sorte dei potenti non riesco a non sospettare che ci sia la voglia di una giustizia a due velocità: forti quando si tratta di giudicare i marginali o più deboli, tolleranti e ragionevoli quando sul banco degli imputati siedono i potenti di turno. Così mi ha sorpreso non poco leggere alcune “acute” riflessioni su facebook, il luogo in cui si forma ormai l’opinione corrente, a proposito della sospensione a tempo indeterminato decisa dall’Ordine dei medici di Agrigento per Salvatore Cuffaro, detto Totò, ex presidente della Regione siciliana, senatore della Repubblica, oggi detenuto perché condannato con sentenza passata in giudicato per aver favorito Cosa nostra. I sofisti siculi eccepiscono che Cuffaro non ha commesso i reati per i quali è stato condannato nell’esercizio della sua professione e dunque non andrebbe sospeso o per meglio dire radiato dall’Ordine.
Altra obiezione che arriva sempre da questi signori: bisogna puntare al recupero del reo e dunque fare in modo che una volta uscito dal carcere Cuffaro possa reinserirsi nella società e dunque non doveva essere decisa la sospensione. E’, dico io, davvero un bel modo di ragionare: potremmo ribattere, banalmente, che Cuffaro parlava con Aiello di rimborsi per la clinica e che Aiello è stato ritenuto prestanome di Bernardo Provenzano. Potremmo ancora ribattere che in Sicilia la professione medica è foriera di consensi politici tanto che sono in parecchi i “dottori” ad aver scelto (legittimamente) la carriera politica. Non ultimo l’attuale presidente della regione Raffaele Lombardo sulla cui responsabilità nei rapporti con la mafia catanese è in corso un ampio dibattito dentro e fuori i tribunali.
Altra questione su cui i garantisti all’amatriciana si sono pronunciati in questi giorni: il lavoro di Domenico Miceli detto Mimmo, anche lui condannato per i suoi rapporti con la mafia. Il chirurgo Miceli, che teneva i rapporti tra Cuffaro e il sistema politico che a Cuffaro faceva capo, e il capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro (anche lui medico: che fa chiediamo anche per lui che la sospensione non via sia?). Ora Miceli si è dimesso dal Policlinico di Palermo dove ha continuato tranquillamente a operare nonostante fosse imputato per mafia a Palermo ed è stato assunto da un privato, la Clinica Villa Serena di Palermo. Passi per l’atteggiamento farisaico di chi dice di non poter entrare nelle scelte private dell’azienda ma non sembra molto fondato che possa continuare a fare il medico. E tuttavia sembra legittimo chiedersi: perché costoro che oggi si stracciano le vesti per Cuffaro hanno taciuto per esempio per Salvatore Aragona, altro medico coinvolto nelle stesse inchieste di mafia che pur non avendo lo status di collaboratore di giustizia ha scelto di collaborare e ha raccontato ciò che sapeva? Perché costoro non hanno sostenuto pubblicamente che anche Aragona, che qualche deputato regionale voleva far tacere, ha diritto a reinserirsi nella società, ha diritto a un lavoro, ha diritto a svolgere la sua professione? Qui non si vuole perseguitare Cuffaro, chiedendo per lui severità oltre misura: sta scontando la pena, si è difeso nel processo, si è affidato alla fede cattolica che tanto lo ha sostenuto e lo sostiene. Ma non è giusto oltrepassare il senso di giustizia che deve guidare la società: Cuffaro è colpevole e la sua sospensione dall’Ordine dei medici dimostra che la legge è ancora uguale per tutti e che chiunque collabori a vario titolo con la mafia sa di dover rinunciare poi a qualcosa. Perché avere rapporti con la mafia non conviene.
Quando i cosiddetti forcaioli si inteneriscono per la sorte dei potenti non riesco a non sospettare che ci sia la voglia di una giustizia a due velocità: forti quando si tratta di giudicare i marginali, tolleranti e ragionevoli quando sul banco degli imputati siedono i potenti di turno. Così mi ha sorpreso non poco leggere alcune “acute” riflessioni su facebook, il luogo in cui si forma ormai l’opinione corrente, a proposito della sospensione a tempo indeterminato decisa dall’Ordine dei medici di Agrigento per Salvatore Cuffaro, detto Totò, ex presidente dell regione siciliana, senatore della repubblica, oggi detenuto perché condannato con sentenza passata in giudicato per aver favorito Cosa nostra. I sofisti siculi eccepiscono che Cuffaro non ha commesso i reati per i quali è stato condannato nell’esercizio della sua funzione e dunque non andrebbe sospeso o per meglio dire radiato dall’Ordine. Altra obiezione che arriva sempre da questi signori: bisogna puntare al recupero del reo e dunque fare in modo che una volta uscito dal carcere Cuffaro possa reinserirsi nella società e dunque non doveva essere decisa la sospensione. E’, dico io, davvero un bel modo di ragionare: potremmo ribattere, banalmente, che Cuffaro parlava con Aiello di rimborsi per la clinica e che Aiello è stato ritenuto prestanome di Bernardo Provenzano. Potremmo ancora ribattere che in Sicilia la professione medica è foriera di consensi politici tanto che sono in parecchi i “dottori” ad aver scelto (legittimamente) la carriera politica. Non ultimo l’attuale presidente delal rgione Raffaele Lombardo sulla cui responsabilità nei rapporti con la mafia catanese è in corso nun ampio dibattito dentro e fuori i tribunali.
Altra questione su cui i garantisti all’amatriciana si sono pronunciati in questi giorni: il lavoro di Domenico Miceli detto Mimmo, anche lui condannato per i suoi rapporti con la mafia. Il chirurgo Miceli, che teneva i rapporti tra Cuffaro e il sistema politico che a Cuffaro faceva capo, e il capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro (anche lui medico: che fa chiediamo anche per lui che la sospensione non via sia?). Ora Miceli si è dimesso dal Policlinico di Palermo dove ha continuato tranquillamebnte a operare nonostante fosse imputato per mafia a Palermo ed è stato ssunto da un priovato, la Clinica Villa Serena di Palermo. Passi per l’atteggiamento farisaico di chi dice di non poter entrare nelle scelte private dell’azienda ma non sembra molto fondato che possa continuare a fare il medico. Tuttavia sembra legittimo chiedersi: perché costoro che oggi si stracciano le vesti per Cuffaro hanno taciouto per esempio per Salvatore Aragona, altro medico coinvolto nelle stesse inchieste di mafia che pur non avendo lo status di collaboratore di giustizia ha scelto di collaborare e ha raccontato ciò che sapeva? Perché costoro non hanno sostenuto pubblicamente che anche Aragona, che qualche deputato regionale voleva far tacere, ha diritto a reinserirsi nella società, ha diritto a un lavoro, ha diritto a svolgere la sua professione? Qui nn si vuole perseguitare Cuffaro, chiedendo per lui severità oltre misura: sta scontando la pena, si è difeso nel processo, si è affidato alla fede cattolica che tanto lo ha sostenuto e lo sostiene. Ma non è giusto oltrepassare il senso di giustizia che deve guidare la società: Cuffaro è colpevole e la sua sospensione dall’Ordine dei mmedici dimostra che la legge è ancora uguale per tutti e che chiunque collabori a vario titolo con la mafia sa di dover rionunciare poi a qualcosa. Perché avere rapporti con la mafia non conviene.
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