L’antimafia crea disoccupazione? Sembra essere questa la conclusione cui giunge il sindacato che ha tenuto a Palermo un convegno dedicato alla gestione dei beni confiscati a Cosa nostra. O meglio questo si evince dal titolo dei take delle agenzie di stampa che raccontano quali sono i numeri e le richieste del sindacato.
Sorprende non poco che il grande sindacato di sinistra, protagonista di tante battaglie antimafia, i cui dirigenti e militanti sono stati trucidati dai mafiosi, possa accettare questa equazione brutale che non distingue tra il lavoro buono di pulizia fatto dai magistrati dalla gestione non sempre brillante delle aziende. L’iniziativa “Io riattivo il lavoro” che Cgil, Avviso pubblico e altre associazioni portano avanti è utile e importante ma il titolo dell’agenzia è eloquente e appare una pessima equazione: “7 mld beni confiscati ma rovescio 80.000 disoccupati”. Non tiene conto, per esempio, del fatto che le imprese in mano ai mafiosi godono di mercati protetti, di denaro in grande quantità proveniente da attività illecite, da situazioni di monopolio ottenute con le armi in pugno.
Il segretario regionale della Cgil siciliana Michele Pagliaro, persona intelligente e preparata, in verità fa un discorso che è condivisibile totalmente: «Non può passare il messaggio che arriva lo Stato e si perde il lavoro, sarebbe un fallimento, un segnale pericoloso, è per questo che occorre fare in modo che le aziende non chiudano e che l’occupazione non vada perduta. Le aziende tolte alla mafia sono una sfida per tutti occorre superare le falle dell’attuale legislazione e fare dei beni confiscati un’occasione di sviluppo e occupazione nella legalità».
Ma ciò andrebbe anche spiegato a quei dirigenti sindacali che hanno consentito nelle scorse settimane manifestazioni in cui, pubblicamente, venivano additati i magistrati quali responsabili della pessima gestione dei beni tolti a cosa nostra. E’ possibile, ovviamente, che tra gli amministratori giudiziari vi siano degli incompetenti ma non è possibile non tenere conto delle buone prassi che pure ci sono in questo settore. Molti dei disoccupati di cui si parla vengono dal settore dell’edilizia e la Cgil sa bene con quali criteri sono state gestite queste aziende e anche quelli del settore dei servizi hanno avuto vantaggi competitivi di non poco conto. Che si fa? Si crea una corsia preferenziale per le aziende confiscate e si tagliano fuori dal mercato le imprese che hanno sempre lavorato onestamente?
Restituirli alla collettività. Ma come? Vendendole? Può essere, ci mancherebbe, con le dovute cautele tutto si può fare. La proposta di “Io riattivo il lavoro” di tutelare i lavoratori è chiara (e condivisibile) ma è forse la declinazione nella quotidianità, certi tipi di proteste, un certo modo di comunicare che lascia parecchio perplessi. E poi la considerazione che questa è una battaglia tardiva perché all’interno di Italia Lavoro, c’era chi si occupava di queste questioni con risultati anche postivi ed è stato cacciato via da un momento all’altro senza una plausibile spiegazione. C’era allora un motivo per non chiedere a Italia Lavoro di fare quello per cui è stata creata l’agenzia? Ovvero aiutare le persone a reinserirsi nel mondo del lavoro, a trovare un’occupazione stabile, a organizzarsi per evitare di uscire dal ciclo produttivo. Servizio utile per tutti i lavoratori e maggior ragione per i dipendenti delle aziende confiscate alla mafia.
Ora anche la Regione siciliana vuole creare una propria agenzia per i beni confiscati (come se già una nazionale non fosse abbastanza) e nel ddl sono previsti interventi che basterebbe inserire in una legge finanziaria (o di stabilità come ipocritamente si chiama ora): non è il caso di fare subito una battaglia concreta per avere già ora in Sicilia aiuti e sostegni invece di aspettare la legge nazionale? E’ giusto e comprensibile che il sindacato difenda i lavoratori ma non ricordano certi sindacalisti che quando comandava la mafia non era loro consentito mettere piede dentro quelle aziende?