Ho riflettuto parecchio sul licenziamento del collega Lucio Musolino da parte di Calabria Ora. E soprattutto ho riflettuto parecchio sulle parole di Piero Sansonetti che alla direzione di Calabria Ora è stato chiamato nel tentativo di rilanciare quel giornale. Dice Sansonetti: “Gli editori hanno deciso di licenziarlo”. Lui lo aveva intanto querelato. Nell’un caso come nell’altro la questione che ritengo importante, di fronte a un cronista che si è occupato di ‘ndrangheta e che è stato minacciato, è una e semplice: passerà il messaggio che a occuparsi di criminalità organizzata in quella regione si perde il lavoro, il pane, ci si mette nei guai. Insomma che è meglio essere alleati della ‘ndrangheta piuttosto che suoi avversari.
E’ questa la cosa più triste di questo licenziamento sfacciato. Il voler essere una punizione esemplare: per Musolino che si è messo contro la ‘ndrangheta, per il cronista Musolino (spremuto a dovere quando era necessario) quando ha chiesto di poter continuare a fare il suo dovere. Abbiamo superato ogni limite di decenza che il compagno Sansonetti non ha avuto il buon senso di considerare. Dicono che, mentre Musolino veniva liquidato dagli editori (ma il direttore nei giornali a norma di contratto a cosa serve?), Sansonetti era da Bruno Vespa a far brillare la sua chioma e a parlare di libertà di stampa. Altro che Calabria sottosopra, qui siamo all’Italia sottosopra, al cervello sottovuoto e al paradosso per cui chi fa il proprio dovere ha torto. Un fatto che, scusate il volo pindarico, fa il paio con un pezzo giornalistico per cui chi arresta i mafiosi e li porta al pentimento e raccoglie i frutti del pentimento ha torto, chi invece ha solo il merito di un’ambizione sfrenata può liberamente parlare fino a creare imbarazzi e mettere in giro fandonie. In Calabria hanno acceso il ventilatore e hanno cominciato a farlo soffiare sulla merda. i cui schizzi sono destinati a chi fa il proprio dovere. Vedremo come andrà a finire.