Di tutte le cose che ha raccontato Paolo Bellini, detto la Primula nera, interrogato nell’ambito del processo sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia, l’unica che merita attenzione è questa e riguarda lo Stato: «Mi avete abbandonato, sono un morto che cammina ma faccio il mio dovere fino in fondo. Lo Stato con me ha firmato un contratto che non ha rispettato».
A quale Stato si riferisce Bellini e a quale contratto? Va bene che è un pentito, va bene che ha confessato tutti gli omicidi commessi come killer al servizio anche della ‘ndrangheta. Ma troppe cose non tornano e non sono mai tornate nel racconto di questo strano personaggio: dice, oggi, di aver avviato una trattativa parallela con Cosa nostra tramite il maresciallo tempesta e dopo aver informato Mario Mori, a quel tempo vicecomandante del Ros dei carabinieri.
Ma perché queste cose non le ha raccontate in altri processi dove pure è stato indagato? E perché continua a non dire tutta la verità sulla sua presenza a Enna in quel dicembre del 1991, mese in cui Cosa nostra pianificò con una serie di riunioni la strategia stragista che sarebbe stata poi attuata l’anno successivo e ancora continuata nel 1993. Ci sono tante cose che non tornano nel racconto di questo signore, almeno così appare dai resoconti giornalistici. Si resta in attesa del controesame per capire meglio alcune vicende ma sarebbe il caso di fissare meglio le date degli incontri con Gioè, protagonista di uno stranissimo suicida in carcere, e all’interesse di Giovanni Brusca per la trattativa di Bellini che poteva portare benefici al padre Bernardo.
E se invece Bellini fosse stato il protagonista di una trattativa per saldare meglio alleanze tra chi, all’interno dello Stato, aveva interesse a dare una spinta con bombe e stragi a un cambiamento istituzionale e chi, Cosa nostra, aveva invece interesse ad alleggerire il carcere duro, a far uscire dalla galera i boss condannati con il Maxiprocesso, a mantenere intatti tutti gli affari avviati nel tempo? Insomma mediatore sì ma di nell’ambito di una strategia stragista, in un ambiente di guerra psicologica che puntava a condizionare il Paese e la democrazia.