L’allarme della procura nazionale antimafia sullo scudo fiscale

Vanno superati gli ostacoli che impediscono l’accertamento della provenienza del denaro sporco e il suo successivo riutilizzo. Due i punti su cui i magistrati antimafia si concentrano: il primo riguarda riguarda l’accesso telematico alla documentazione bancaria dei soggetti, il secondo invece il reato di autoriciclaggio. Una parte della magistratura, come nel caso del magistrato antimafia Alberto Cisterna, è netta: «Ben venga lo scudo fiscale – dice Cisterna – se può aiutare l’economia del paese. Ma ci diano i mezzi per capire da dove arrivano questi soldi e chi li riporta indietro».
Un punto fondamentale, questo, visto che potrebbe scoraggiare il rientro dei capitali e dunque pregiudicare la manovra. Per aiutare i magistrati nell’accertamento basterebbe, come ha spiegato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso alla commissione nazionale Antimafia, dare loro la possibilità di acquisire informazioni sui conti correnti bancari in maniera più celere; la stessa possibilità concessa, come sostiene Cisterna, all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di finanza per motivi fiscali. Sulla questione Grasso si è intrattenuto a lungo: «Con la creazione dell’anagrafe dei conti e dei depositi si è ottenuto un grande risultato ma il problema è che la magistratura non può ancora accedervi». La stessa direzione nazionale antimafia «può accedervi solo per gentile concessione della società che gestisce la banca dati, visto che dal ministero – spiega Grasso – non siamo riusciti ad avere un protocollo e le risorse per utilizzare le strutture». I dati ottenuti in questo modo sono utilissimi, ma restano parziali: «Non si accede certo alle informazioni detenute dalle banche – prosegue Grasso – ma si vengono a conoscere informazioni sulla quantità di conti bancari, di evidenze e di servizi bancari».
Elementi fondamentali, ma per poter rendere il sistema di lotta alla criminalità organizzata efficiente sarebbe necessario altro: «Noi vorremmo poter entrare telematicamente dentro le banche con i provvedimenti di acquisizione e di esibizione dei magistrati». È, quest’ultimo, il tema che riguarda da vicino il denaro che può rientrare dall’estero e in particolare dai paradisi fiscali dove, denunciano i magistrati antimafia, ci sono dipendenze di banche italiane: «Ne sono state contate circa 320 nel mondo – spiega Grasso –. Quando si chiede il motivo della loro presenza, le banche italiane rispondono che è per ragioni amministrative. Non so quali possano essere le ragioni amministrative, probabilmente sono ragioni di evasione fiscale o altre. La Banca d’Italia certamente lo sa».
C’è poi il secondo aspetto che riguarda il denaro in uscita, cioè quei capitali portati all’estero e lì debitamente riutilizzati. Una misura importante per impedire il lavaggio in casa nostra di denaro sporco poi portato all’estero è l’introduzione del reato di autoriciclaggio che è previsto in altri paesi europei: «L’articolo 648bis del codice penale – spiega il procuratore nazionale antimafia –, punisce chi occulta i profitti illeciti ma contiene il seguente inciso: fuori dai casi di concorso nel reato. Ciò significa che se un rapinatore ricava dalla sua attività un profitto illecito e poi lo occulta per investirlo o impiegarlo, siccome ha commesso il reato presupposto non può essere punito per l’attività di riciclaggio. Conseguentemente non si possono fare indagini sulle persone che hanno commesso il reato che ha generato proventi perché c’è una norma che lo vieta. Non può essere certamente incriminato chi ha concorso nel reato. Basterebbe eliminare l’inciso “fuori dai casi di concorso nel reato”, così l’attività successiva, come perpetuazione dell’azione criminale, sarebbe costituita non solo dal profitto illecito ma anche dal suo occultamento che inquina l’economia e colpisce la libertà dell’ordine economico». La norma era prevista nel ddl 733 ma a gennaio al Senato i relatori hanno deciso di stralciare i comma 4 e 5 dell’articolo per un nuovo esame in Commissione.
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