Da qualche tempo va in scena, in Sicilia, un dibattito davvero specioso: mentre la Sicilia affonda c’è chi discute del sesso degli angeli. Sembra quasi che l’isola sia piombata nell’illegalità. E che complici, se non mandanti, di questa illegalità siano gli imprenditori siciliani.
Gli interventi si ripetono: un giorno da destra, un altro da sinistra, un altro ancora da centro, un altro ancora da parte di chi si occupa di alcune questioni per motivi professionali. E per non farsi mancare nulla anche i grillini hanno cominciato a fare la loro parte: si sono presentati come tutori del nuovo e hanno finito col diventare i portabastone della più vecchia politica, prima di strategie e di prospettive.
Non è il caso qui di citare le inchieste nei vari campi dell’amministrazione regionale e nemmeno chiamare in causa le carte giudiziarie per cercare di capire.
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Rosario Crocetta fa il governatore e non ha bisogno di avvocati, così come non hanno bisogno di avvocati gli imprenditori di Confindustria: non sono super partes e sono soggetti alle leggi. Non è esattamente questo il punto. Perché ci sono altre e più importanti questioni su cui credo sia necessario riflettere: sulla capacità e responsabilità politica di questa classe dirigente è in corso un giudizio aspro, severo a tratti anche violento. Ed è bene che vi sia un’opposizione in una sana democrazia. Quello che a volte sfugge, però, è: in nome di che cosa, a tutela di quali interessi pubblici? Perché è questo il vero punto della questione. Negli anni in cui ha governato Salvatore Cuffaro, per esempio, non c’è st
ata così tanta veemenza e determinazione nelle battaglie di tanti che oggi sono in prima fila. Cuffaro, che è in carcere con una condanna per mafia, non ha certo commesso solo errori e ha con molta coerenza portato avanti una politica che potremmo definire di conservazione sociale con l’obiettivo sì di tutelare migliaia di persone ma che ha finito con l’istituzionalizzare una parte del parassitismo e ha aiutato la speculazione (anche mafiosa, certo). Non dico e non voglio dire che quella fosse l’intenzione dell’allora governatore ma non v’è dubbio che ciò è accaduto. E allora? Dopo gli anni di Raffaele Lombardo e il dominio dei catanesi (con i problemi che sappiamo e anche le accuse gravissime di mafia all’allora governatore) cosa vogliamo fare? Si legge, per esempio, in un pezzo che dietro le nomine dell’Irsap (l’Istituto regionale per le attività produttive) ci sarebbero gli interessi degli imprenditori come se non fosse legittimo per gli imprenditori avere aree su cui investire, ottenere autorizzazioni in perfetta trasparenza, creare posti di lavoro, generare ricchezza. Mi viene in mente il povero Mimì La Cavera, finito nelle carte della commissione Antimafia, solo perché aveva tanti incarichi nei consigli di amministrazione di società importanti: era un uomo di successo e pertanto mafioso, secondo quella logica becera che ancora oggi si perpetua in tanti prodigiosi pensatori. Se ci sono affari in corso illeciti si facciano i nomi, si indichino le circostanze e se qualcuno ha sbagliato paghi e anche salato.
Nelle sontuose e dorate stanze dell’Assemblea regionale siciliana invece di ragionare sui limiti dello sviluppo del sistema siciliano ci si accanisce su questa o quella nomina del governo. Forse si rimpiange quando la nomina dei primari degli ospedali la decideva Cosa nostra e a un professionista milanese veniva suggerito di rivolgersi al capomafia per ottenere un buon posto in Sicilia?
Nel corso dell’ultimo comitato di sorveglianza sui Fondi Ue è emerso che in Sicilia sono necessari 263 passaggi burocratici per spendere anche solo un euro ma su questo l’Assemblea regionale ha ben evitato di interrogarsi e di ragionare: serve una legge che elimini passaggi burocratici il che significa anche intervenire anche sul fronte della corruzione. L’Assemblea regionale riapre e non prende atto che l’isola è agli ultimi posti per competitività e che nessuno vuol venire a investire da noi. Dovrebbe esserci un dibattito serrato sulle strategie della prossima programmazione, l’indicazione politica di una strategia industriale. E invece?
In un libro molto interessante (“La nuova geografia del lavoro” di Enrico Moretti, Mondadori ) si racconta che per ogni posto di lavoro creato nel settore dell’innovazione ne nascono altri cinque e che nelle città in cui sono nate aziende innovative è diminuita la criminalità, è cresciuto il benessere dei cittadini e la qualità della vita (meno morti di cancro e così via). Può interessare ai nostri perspicaci deputati regionali oppure il loro problema è solo quello delle nomine e dei posti di sottogoverno?