di Maria Grazia Brandara
La cronaca di questi giorni ed il dibattito che sottintende la governabilità degli Enti Locali, con riferimento ai rapporti tra amministrazione attiva ed elettorato e tra vertice istituzionale e maggioranza politica, mi da l’opportunità di richiamare lo spirito del disegno di legge da me presentato nel corso della XIII legislatura dell’Assemblea Regionale Siciliana. Con quel disegno di legge intendevo condurre nell’alveo più consono ed appropriato i rapporti tra il sindaco o il presidente della provincia, il consiglio comunale o provinciale ed il corpo elettorale.
Nell’ordinamento vigente che prevede l’elezione del sindaco o del presidente della provincia a cura dei cittadini elettori, l’istituto della mozione di sfiducia introduce un elemento di mediazione (il consiglio) che sconvolge gli assetti del rapporto diretto tra il sindaco o il presidente della provincia ed il corpo elettorale.
In quest’ottica, appare più coerente sostituire l’istituto della mozione di sfiducia con quella della rimozione a seguito di consultazione referendaria del corpo elettorale. Se il sindaco o il presidente della provincia viene eletto direttamente dagli iscritti nelle liste elettorali, è giusto che venga rimosso dagli stessi elettori e non sfiduciato dal consiglio che è stato eletto, come il sindaco o il presidente della provincia, dal corpo elettorale.
Da queste considerazioni muove quel disegno di legge con il quale si vieta la sfiducia al consiglio, assegnandogli per converso la potestà di richiedere un referendum popolare per la rimozione del sindaco o del presidente della provincia. Tale potestà può essere esercitata per una sola volta durante il mandato, non prima che sia passato un anno dalle elezioni e non dopo che manchi un anno alle nuove elezioni.
Ritengo, ancora, che una simile modifica della norma contribuirebbe a ridare al corpo elettorale quel ruolo fondamentale che il legislatore ha inteso attribuirgli e a tentare di riconciliare i cittadini con la politica.