Dentro le ‘mura’ del Consiglio Regionale della Calabria si trova la Bottega di Dodo’, un bambino caduto nel crotonese per mano di ‘ndrangheta. Qui, all’interno della Bottega della Legalità di Libera, dentro un moderno cavallo di Troia, dove al mattino c’era stato il ministro D’Alia, abbiamo incontrato Nino Amadore, ospite della rassegna letteraria ‘Il sasso in bocca’. Insieme, abbiamo provato a ragionare su come ribaltare l’immagine ed il corso degli eventi di una ‘Calabria sottosopra’.
Abbiamo tolto il sasso a bocche fin troppo cucite dall’omertà. Questo il senso del denso incontro dentro un luogo fortemente simbolico: la Bottega. Situata nella casa delle Istituzioni e di tutti i cittadini calabresi, nessun dettaglio d’arredo è lasciato al caso: le fioriere da cui fuoriescono le paste, gli oli, i vini dal marchio Libera Terra, piccoli semi di giustizia che producono fiori di corresponsabilità dai campi confiscati; i Tangram, posti proprio all’ingresso, che espongono libri ed hanno la forma di un uomo in corsa; il nastro rosso che avvolge il tetto simboleggia, invece, il sangue dei giusti, fino ad arrivare alla parete, quasi ‘a rompere il muro del silenzio’. Insomma, in questa vetrina, e grazie al libro dell’instancabile direttore di Palermo del Sole 24 Ore, si è cercato di declinare i 1000 modi di sopravvivere di una regione in subbuglio. Un testo senza soluzione di continuità. Pubblicato nel 2010, ritrae il passato prossimo di fatti, procedimenti e personaggi nostrani, che sembrano essere scritti oggi, visto che ancora riempiono le pagine dei giornali. Come nel caso del processo Meta a Reggio Cal., in cui Libera è costituita parte civile. Storie a cui manca la speranza e sembrano snobbare il futuro. Un libro attualissimo, una disamina attenta della regione, di quello che poteva essere e non è stato. Una storia dalla connotazione calabrese e dal respiro molto più ampio, i cui personaggi e territori sembrano avere avuto uno sviluppo negato dal malaffare e dalla rassegnazione, dalle sponde prestate dalla zona grigia e dal disimpegno di una parte della ‘società civile’. Perché come dice Don Ciotti, il problema non è solo di chi fa il male, ma anche di guarda e lascia fare, come le tre scimmiette… A condurre il confronto pubblico anche un imprenditore, Piero Milasi, membro della rete antiracket cittadina reggioliberareggio, menzionata ne La Calabria sottosopra. Molte delle incalzanti domande sono piovute dal pubblico. Amadore con la disinvoltura di chi sa dove si trova il bandolo della matassa, ha dato la propria puntuale lettura, in un dibattito schietto, piacevole. L’esperto giornalista ha cercato di sciogliere i nodi di una questione calabrese e ancor più meridionale, che rischia di sfuggirci di mano, ponendo l’accento su una governance col freno a mano tirato, una classe dirigente a volte collusa, altre miope, dai piedi d’argilla, che non riesce a fronteggiare l’ordinaria amministrazione figuriamoci l’emergenza ‘ndrangheta, cosa nostra, ecc. ecc. Amadore ha condiviso la sua esperienza umana e giornalistica, raccontandoci della sua passione di cronista e studente di Scienze Politiche, delle lotte alle elezioni d’Ateneo, così come del suo incontro con il figlio di Riina, nella chiarezza dei ruoli. Ha apprezzato l’esempio di impegno civile di Don Italo Calabro’, di Libera e dei tanti attori sociali che sui territori si spendono per dare dignità e voce a storie sommerse di ingiustizia quotidiana. Amadore invita a sognare, affinché nessuno voglia imbeccarci sul fatto che il parassitismo mafioso, la rendita sporca del malaffare, la logica bieca dei raggiri, sia scambiata per la vita vera. Bisogna avere fiducia e ripartire da ciò che di buono c’è. “Reggio Calabria e’bellissima – ci dice – a guardarla ci si chiede come sia possibile che non riesca a liberarsi dai suoi mali”. Bisogna contrastare il malaffare sul piano finanziario e contribuire a creare un’economia nuova, sostenibile, anche con l’aiuto delle banche. La Calabria deve ripartire dai suoi tramonti, dalla sua identità, dal suo tessuto buono, dal turismo, facendo rete e mettendo insieme le forze sane, anche con progetti rivoluzionari d’impresa sociale, lidi, opere edili, beni sequestrati e confiscati. Occorre un atto di responsabilità anzi di corresponsabilità da parte di tutti: politici, dirigenti, cittadini, affinché la SA-RC, la SS 106 jonica, il mito assistenziale del posto fisso, del finanziamento pubblico ad ogni costo, la corruzione da repubblica delle banane, le mafie al sud come al nord, siano solo casi limite di un secolo in chiaroscuro. Grazie a Nino Amadore per il suo racconto e per la sua testimonianza.
di Lucia Lipari