di Nino Amadore
Ivan detto “il lupo” e Vicio detto “il bracco” non hanno bisogno di salutarsi. Basta solo uno sguardo, un segnale, un colpo d’occhio. Si conoscono ormai da oltre dieci anni visto che da oltre dieci anni frequentano ogni giorno il secondo piano dell’ex convento settecentesco di piazza della Vittoria dove si trova la squadra Catturandi della questura di Palermo. Il lupo e il bracco sono due degli oltre quaranta uomini che fanno parte di quella mitica squadra che ha messo le manette ai più pericolosi latitanti di mafia a cominciare dal boss Pietro Aglieri che aveva un altarino e pregava nel suo covo nell’area del bagherese, per continuare con i fratelli Vincenzo e Giovanni Brusca, detto u verru (il porco) che hanno dovuto difendere dai parenti degli uomini delle scorte trucidati nelle stragi, e poi tanti altri fino a Bernardo Provenzano, preso nel 2006, e poi Salvatore Lo Piccolo e il figlio Sandro e infine Domenico Raccuglia, ritenuto uno dei capi emergenti della mafia palermitana e Gianni Nicchi, giovane boss in ascesa.
Da qualche mese Ivan “il lupo” e Vicio “il bracco” con Rosario detto Dux e Peppe detto il Panda e tanti altri hanno una nuova missione da svolgere: prendere Matteo Messina Denaro, il capomafia trapanese, primula rossa ormai da 18 anni. A questo lavorano gli uomini della Catturandi di Palermo e i loro colleghi della squadra mobile di Trapani che da anni, guidati da Beppe Linares ora promosso primo dirigente e in attesa di una nuova destinazione, sono sulle tracce del boss di Castelvetrano che gode della protezione della buona borghesia trapanese e in qualche caso ha avuto contatti anche con le barbe finte degli agenti dei servizi o di loro emissari. Un gruppo di lavoro, voluto dal capo della polizia Antonio Manganelli su mandato del ministro Roberto Maroni, creato in ospedale a Milano sulla base del modello sperimentato a partire dal 2007, al capezzale di Mario Bignone, capo della Catturandi, instancabile artefice di tante brillanti operazioni e morto recentemente. Vale sempre, per questi uomini che nascondono la loro identità, che noi siamo abituati a vedere celati da un mefisto e che a lungo non hanno rivelato il loro lavoro nemmeno alle fidanzate o ai parenti più stretti, il motto che ha fatto meritare alla squadra la definizione di «ufficio pubblico con la più alta produttività del Paese»: «Chi fa la mattina fa anche la sera e rientra il pomeriggio». Una regola seguita da un gruppo di lavoro ben affiatato che qualcuno vorrebbe intimidire, come è accaduto nei giorni scorsi: un uomo ha fermato la moglie di un agente della Catturandi e le ha fatto vedere le foto di alcuni agenti e dei loro familiari. Una dinamica, dicono gli osservatori, che fa pensare più a un messaggio da lanciare alle istituzioni che a una minaccia specifica. Ma tant’è, il livello di attenzione è stato alzato considerevolmente, soprattutto per quattro agenti che più di altri appaiono esposti.
Ci vuole stoffa e tanta buona volontà, per far parte della mitica Catturandi come ha raccontato il sovrintendente di polizia e agente della squadra, I.M.D., nel libro “100% Sbirro” scritto insieme alla giornalista Raffaella Catalano per i tipi di Dario Flaccovio Editore.
E soprattutto un grande senso di abnegazione e tanta ma tanta pazienza: dopo moltissime ore trascorse ad ascoltare inutili conversazioni dei fiancheggiatori di un latitante intercettati o dopo tante ore a guardare il video trasmesso da una microtelecamera piazzata magari in maniera rocambolesca di fronte a una sperduta villetta possono arrivare i segnali giusti, gli elementi che aiutano gli agenti a localizzare il latitante. Quelle degli agenti della Catturandi sono teste abituate a fare ragionamenti contorti così come contorti sono gli artifizi utilizzati dai fiancheggiatori dei latitanti per coprirne la fuga.
C’è una cosa che colpisce parlando con questi agenti: il loro entusiasmo, la voglia di cercare e trovare i responsabili di crimini efferati, di stragi, la coscienza che hanno dato e danno un contributo concreto e visibile alla lotta alla mafia. Lo si percepisce quando I.M.D. racconta delle operazioni che hanno portato alla cattura di boss importanti come i Lo Piccolo e prima ancora lo stesso Provenzano: «Binnu u ragioniere ci guardava allibito e annichilito. Sembrava volesse dire: ma che hanno questi qui da gioire. Ma è durato poco. Si è quasi subito estraniato con lo sguardo nel vuoto: sembrava quasi in preda a crisi mistica».
La Catturandi è divisa in tre aree: c’è chi lavora nella saletta di ascolto delle intercettazioni, come I.M.D. che si è meritato il titolo di “Maresciallo dei telefoni”; c’è il gruppo che si occupa di intercettazioni ambientali (telecamere e affini) e c’è chi si occupa di controllo sul territorio (pedinamenti, appostamenti e così via). La cripta della Catturandi, come l’ha definita Guido Marino, ex capo della mobile di Palermo, oggi questore a Caltanissetta, ha un’altra peculiarità: non conosce gerarchie, tutto si muove in maniera orizzontale e tutte le informazioni vengono condivise nel briefing che si tiene una volta a settimana.
I briefing diventano sempre più frequenti man mano che ci si avvicina al latitante e quando si è vicini all’operazione l’attività diventa frenetica. Anche i giovani, che hanno meno esperienza e paura di sbagliare, vengono tirati nella mischia: il questore Alessandro Marangoni ne ha destinati otto l’anno scorso alla Catturandi e grazie all’idea di quattro di loro in servizio una sera al “ramo” intercettazioni ambientali è stato possibile, racconta I.M.D., «avere l’intuizione giusta per localizzare Gianni Nicchi e poi arrestarlo». Prima di arrivare all’arresto di Nicchi, considerato boss emergente, un gruppo di agenti della Catturandi che faceva parte della cosiddetta squadra Nicchi ha lavorato per un anno intero anche tutti i fine settimana con buona pace delle famiglie. In genere gli agenti dovrebbero lavorare 6 ore e 40 minuti ma vanno avanti fino a 12-13 ore e nei momenti clou si va avanti H24 cioè senza staccare un attimo. Allo stipendio medio che è di 1.400 euro al mese dovrebbero aggiungersi i soldi per gli straordinari quando arrivano: alla Catturandi ancora aspettano i soldi del 2008. Dice I.M.D.: «Le indagini su Raccuglia e Nicchi mi hanno fruttato oltre 600 ore di straordinario eccedente le 55 (fatte mensilmente) nell’anno 2009 sino al 31 dicembre». Sono in tutto 196 giorni di lavoro in più a orario normale cioè 6 ore e 40 minuti.
Ci vuole tanta passione, che i boss e i loro parenti non capiscono: «Alcune volte – racconta ancora I.M.D. che l’anno scorso aveva pubblicato (sempre per Dario Flaccovio) il libro “Catturandi” – abbiamo ascoltato le parole di parenti o amici dei boss, poco lusinghiere, che non meritano neanche una menzione. La moglie di Salvatore Lo Piccolo giustificava il nostro “accanimento” nella ricerca del marito sostenendo che siccome stavamo sempre fuori a lavoro le nostre mogli ci tradivano e noi eravamo sempre infuriati con loro per questo motivo. La cosa ci fece sorridere molto, certo però l’incidenza dei divorzi nel nostro settore è alta, probabilmente certi ritmi non aiutano a mantenere i legami familiari. Però la Catturandi, sino ad oggi, credo sia rimasta molto al di sotto della media: quando dico che le mogli fanno parte della squadra, non credo di dire sciocchezze».
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