Vi racconto, brevemente, due storie di antimafia. Lo spazio temporale è diverso. Ma il messaggio, sia detto con molta ironia, è univoco: pericolosi sovversivi si aggirano per la Sicilia.
Il primo l’ho incontrato in occasione di un convegno organizzato dai ragionieri a Vittoria in provincia di Ragusa: una giornata dedicata alla legalità in compagnia del procuratore generale di Torino Giancarlo Caselli in occasione del quindicesimo anniversario delal strage di Capaci. Degli altri ho scritto sul Sole 24Ore più pezzi. Il primo si chiama Toti Cottone, è un settantenne dal carattere mite: il quale, davanti a numeroso e qualificato pubblico (come si diceva nelle cronache di una volta) ha raccontato dal palco del teatro ottocentesco di Vittoria (molto bello) della sua attività di amministratore giudiziario dei beni sequestrati a Cosa nostra, in particolare alle famiglie mafiose di Palermo. Cottone ha raccontato di minacce, di tensioni in famiglia, di onorari mai richiesti o mai pagati dallo Stato. Di clienti che, dopo aver saputo che lui stava dalla parte dello stato hanno lasciato lo studio. Insomma un sovversivo in piena regola in Sicilia, terra in cui la normalità è rivoluzione. Gli altri sovversivi sono gli imprenditori di Agrigento i quali hanno firmato un protocollo con la prefettura di Agrigento. Cosa prevede questo rivoluzionario protocollo? Lo Stato li autorizza a utilizzare impianti di videosorveglianza e le guardie giurate nell’area industriale di Favara (ad alta densità mafiosa) e loro (14 imprenditori) si impegnano a denunciare qualsiasi tipo di intimidazione. Si sono subito accodati gli imprenditori di Enna e quelli di Caltanissetta i quali chiedono di applicare anche nelle loro province protocolli simili. I sovversivi fanno proseliti. Mi sembra una buona notizia.