PALERMO – E’ stato definito il primo sciopero dei dipendenti di aziende confiscate alla mafia. In verità se non di un vero e proprio sciopero si tratta è una protesta che con un sit-in davanti alla prefettura di Palermo (secondo il sindacato vi hanno partecipato circa 200 persone) è destinata a lasciare il segno. Perché la protesta di ieri, organizzata dalla Fillea-Cgil, dimostra che in questo ambito è stato ormai superato ogni limite. In questo caso sono state coinvolte solo le imprese del settore edile (molte del settore del calcestruzzo, ma anche aziende di costruzione, movimento terra) in cui i posti di lavoro a rischio solo in Sicilia, secondo stime del sindacato, sono almeno 800 ma la situazione è critica anche in altri settori come quello del commercio.
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In pratica, se si tiene conto delle stime sindacali, nel settore dei beni confiscati alla mafia vi sono a rischio in tutta la regione almeno 1.500 posti di lavoro. «Finora – dice Franco Tarantino, segretario della Fillea – si è pensato alle soluzioni per i beni, senza prevedere niente per i lavoratori, il cui destino resta incerto. Noi diciamo no alla vendita di beni svuotati dai lavoratori”. La Fillea chiede piani industriali per le aziende; che venga impedito lo “spacchettamento” delle imprese, che sia coinvolto il ministero dello Sviluppo economico per attivare piani di impresa che salvaguardino l’occupazione e sollecita il coinvolgimento di lavoratori e sindacati. Il sindacato chiede inoltre un’accelerazione sulla strada per il varo della legge di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro”. Proposte che sono state ribadite anche nel corso di un incontro con il prefetto di Palermo Francesca Cannizzo e con Maria Rosaria Laganà, viceprefetto e dirigente dell’Agenzia dei beni confiscati. Un incontro che è intanto servito a stabilire un contatto tra l’Agenzia e sindacati: «Abbiamo chiesto – dice Tarantino – che l’Agenzia tenga conto dei lavoratori nelle sue scelte ed è stato avviato un confronto che sarà sempre più serrato in futuro».
Anche perché la situazione è drammatica e non solo nel settore edile. Nella Sicilia occidentale, se non accade nulla nel frattempo, il 31 dicembre chiuderanno i battenti i supermercati del Gruppo 6 Gdo che lo Stato ha confiscato a Giuseppe Grigoli prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro: oltre a un Centro commerciale il Gruppo è proprietario di una serie di supermercati a marchio Despar distribuiti tra le province di Trapani, Agrigento e Catania. Un gruppo che, quando era nelle mani della mafia, appariva florido e che una volta passato alla gestione dello Stato ha cominciato a scricchiolare così la percezione che si ha oggi in quelle province ma non solo è che Cosa nostra garantisce il lavoro e lo Stato no. L’emergenza è la liquidità: servono soldi per pagare fornitori e dipendenti mentre ci sono parecchi crediti da riscuotere. I rappresentanti della Cgil (questa volta della Filcams di cui è segretario Vito Gancitano) hanno scritto qualche settimana fa al Presidente della Repubblica. «Lo Stato – si legge nella lettera inviata al Capo dello Stato – deve coniugare i preziosi risultati della magistratura con interventi che garantiscano il mantenimento delle attività produttive e la tutela della stabilità occupazionale del territorio. Bisogna sostenere e non vanificare l’attività degli organi di polizia e della magistratura con opportune e tempestive iniziative a sostegno dell’occupazione e dello sviluppo».
Il segretario provinciale della Filcams Cgil ha fatto riferimento al mancato intervento da parte del ministero dell’Interno che, nonostante le pressanti richieste degli amministratori giudiziari, non ha attivato alcuna procedura per consentire al gruppo di ottenere l’apertura al credito negata da alcuni istituti bancari. A Napolitano il segretario della Filcams ha chiesto un intervento finalizzato a consentire al Gruppo di ottenere il finanziamento ed ha manifestato la preoccupazione del sindacato per la grave situazione economica del Gruppo che, negli ultimi due anni, ha subito un forte calo di fatturato, a cui si è aggiunta la drastica diminuzione delle merci nei magazzini e il conseguente rischio per i supermercati di compromettere la propria attività. In questi anni i lavoratori hanno assistito alla chiusura di vari punti vendita Despar con il ridimensionamento della forza lavoro impiegata, nonostante l’apertura di alcuni punti vendita con il marchio 6Store, al fallimento della “Provenzano Mozzarelle” e alla liquidazione della “SpecialFruit”, con gravi conseguenze sui livelli occupazionali. «Dopo, infruttuosi confronti, avvenuti anche in Prefettura – scrive Gancitano – il Gruppo 6 Gdo ha aperto, lo scorso luglio, la procedura di mobilità per il licenziamento di 40 lavoratori, indicando tra i motivi della crisi, oltre agli effetti involutivi dell’andamento del mercato, una grave crisi di liquidità conseguente alla difficoltà di gestire i rapporti con le banche. Dopo il confronto con i sindacati è stato deciso di far ricorso alla mobilità su base volontaria e alla Cassa integrazione straordinaria, per la restante parte dei lavoratori, così da garantire alla società un risparmio sul costo del lavoro, consentendo all’azienda di recuperare una parte di liquidità». Il segretario provinciale della Filcams Cgil scrive infine «lo Stato deve vincere questa battaglia, per questo chiediamo un sollecito, e non più rinviabile, intervento». E non solo qui.