Al boss piacciono le opere d’arte

Tutti i numeri dell’archeomafia: 882 furti di opere d`arte effettuati, 13.219 oggetti trafugati, 1.220 persone indagate, 45 arresti; ma anche 19.043 beni culturali illecitamente sottratti recuperati, insieme a 14.596 reperti paleontologici e 55.586 archeologici.
Sono i dati del rapporto sui crimini ambientali Ecomafia 2010 che Legambiente e i carabinieri per la tutela del patrimonio culturale hanno voluto anticipare in occasione di «Terra Futura» a Firenze, per la mostra «Storie d’arte e di misfatti» che racconta il lucroso business dei furti d’arte in Italia. Un vero e proprio assalto continuo ai tesori italiani ad opera di mafiosi, trafficanti, collezionisti, tombaroli.
Di fatto, i beni culturali sono diventati un business per la criminalità organizzata: capita sempre più spesso di scoprire boss mafiosi con il «pallino» di fare incetta di opere d`arte. Stanze, soffitte, garage, caveau, riempiti di preziosità d`ogni tipo, bottino di traffici illeciti, di furti, o di operazioni di riciclaggio di capitali.
Tra le indagini più eclatanti del 2009, quella della Direzione investigativa antimafia che ha sequestrato al boss italo-canadese Beniamino Zappia, in carcere dal 2007, oltre 345 dipinti di immenso valore tra tele di Guttuso, De Chirico, Dalì, Sironi, Morandi, Campigli, de Pisis, Boldini, Guidi e poi orologi antichi, pietre preziose, vasi, statue, bronzi e oggetti di antiquariato. Un immenso tesoro accumulato negli anni da colui il quale i magistrati definiscono il referente in Italia della famiglia mafiosa dei Bonanno di New York e a quelle dei Cuntrera, Caruana e dei Triassi.
Il 20 gennaio scorso, invece, il nucleo carabinieri Tutela patrimonio culturale di Bari ha sventato un traffico internazionale di reperti archeologici, realizzato attraverso una rete criminale capace di muoversi tra l’Italia, la Spagna, la Francia, la Germania e il Lussemburgo. La refurtiva recuperata dai militari fa impressione: 1.248 reperti archeologici e centinaia di fossili, per un valore stimato in 4 milioni e 350 mila euro. Alcuni di questi reperti sono stati esposti in importanti gallerie d’arte italiane e francesi. Indagate 40 persone, di cui 13 sottoposti a provvedimenti cautelari, nove agli arresti domiciliari e quattro con l’obbligo di dimora. L’organizzazione aveva una consolidata esperienza alle spalle ed era dotata delle tecnologie più avanzate per gli scavi illegali, a cominciare da metal detector e geo-radar. Dalle indagini è emerso che questi hanno passato a setaccio principalmente le aree archeologiche delle province di Matera e Bari.
Un`altra operazione dei carabinieri del reparto Tutela patrimonio culturale è quella che ha portato alla restituzione al governo Libanese di numerosi fossili di natura paleontologica, risalenti a circa cento milioni di anni fa di inestimabile valore storico. È l’epilogo di una vicenda che ha preso il via da una semplice segnalazione fatta dalla direzione generale dei beni archeologici su un cittadino italiano, il quale aveva richiesto la certificazione di avvenuta importazione da Biblos (Libano) a Roma di un fossile.
Le indagini hanno dimostrato la provenienza illecita non solo del fossile sul quale era stata richiesta certificazione, ma anche su altri reperti rinvenuti nell’abitazione dell`uomo, tutti ottenuti in violazione delle normative libanesi sulla detenzione e l`esportazione di reperti archeologici. Tra i pezzi pregiati sono stati sequestrati anche altri due esemplari di pesci ossei, tutti fossili dell’Era Mesozoica, databili al periodo Cretacico (epoca susseguente al Giurassico), risalenti a 99/93 milioni di anni fa, nonchè alcune decine di reperti archeologici romani ed etruschi.
«Ogni anno scompaiono da musei, chiese, collezioni private o di enti pubblici migliaia di oggetti: dalle armi artistiche ai quadri, dalle monete agli orologi, dagli oggetti chiesastici ai reperti archeologici – spiega Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente – Decine di migliaia di reperti vengono sottratti al nostro patrimonio archeologico, in siti troppo spesso incustoditi e magari poco valorizzati: un patrimonio di storia e memoria collettiva alla mercé dei cosiddetti tombaroli e/o della criminalità organizzata».
«Il sistema dal quale si ricava denaro dalle ruberie di opere rubate è piuttosto articolato – spiega il generale Giovanni Nistri – anche in relazione alla tipologia del bene sottratto e al valore artistico. I flussi del traffico illecito sono diversificati e molto spesso conducono all’estero, in un contesto nel quale il mercato clandestino assume con sempre maggiore frequenza il carattere della transnazionalità. I pezzi rari e di alto valore, facilmente identificabili, una volta rubati vengono allontanati o nascosti, a volte per anni. Se i ladri non trovano acquirenti diretti, si rivolgono al mercato dei professionisti legati ad un circuito di distribuzione su scala internazionale, che provvedono anche alla falsificazione dei documenti».
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