Un carabiniere: omissioni per impedire la cattura di Bernardo Provenzano

PALERMO – Gli ostacoli e le omissioni tra il 2001 e il 2004 nella caccia al capomafia Bernardo Provenzano (poi catturato nel 2006), ma anche il disinteresse, due anni fa, su una “indicazione affidabile” che collocava in Sicilia il boss considerato l’attuale reggente di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro.

Contiene questo la denuncia presentata questa mattina alla Guardia di Finanza di Palermo dal luogotente dei Carabinieri Salvatore Fiducia, che ha deciso di uscire allo scoperto dopo l’esposto di Saverio Masi, caposcorta del pm palermitano Nino Di Matteo, che parlava di depistaggi nelle indagini sui boss.

Le informazioni sono state riferite dagli avvocati dei due carabinieri Giorgio Carta e Francesco Desideri, in una conferenza stampa in cui hanno fornito però pochi dettagli sulle informazioni che potrebbero – questo è il loro auspicio – avviare un’indagine della magistratura.

I due legali hanno inoltre annunciato di avere già incontrato anche un terzo carabiniere, che si è detto pronto a riferire alla magistratura, e avuto contatti preliminari con un quarto che ha confermato le modalità dei presunti depistaggi.

Per i due avvocati, Masi e Fiducia, attualmente in servizio in una stazione dei carabinieri in un piccolo comune siciliano e vicino alla pensione, “denunciano le stesse tipologie di ostacolo”. Eseguendo le loro rispettive indagini sia Fiducia che Masi, all’epoca entrambi in servizio presso il comando provinciale di Palermo, hanno poi riferito ai loro superiori con relazioni di servizio, “ignorate e talvolta corrette, con sottrazioni di alcune parti”.

Prima Masi, poi Fiducia, ha riferito l’avvocato Carta, effettuando indagini in autonomia “sostengono di aver individuato casolari dove avrebbero potuto rifugiarsi i latitanti, e anzichè essere incoraggiati, sono stati stroncati”.

“Venne chiesto loro – ha detto Carta – di coordinarsi con il Ros, dopo hanno perso di vista le indagini”. Per i legali, è “collegato” agli ostacoli nella attività dei loro assistiti il processo a carico di Masi, condannato in primo grado per falso e tentata truffa (che comporterebbe la destituzione dall’Arma) per aver provato a farsi annullare una multa da 100 euro, dichiarando di essere in servizio con una vettura nella sua disponibilità.(ANSA).