A Gela l’imprenditore antiracket morto di crepacuore perché abbandonato dallo Stato

Si può morire di crepacuore per delusione, perché ci si sente abbandonati? Si può essere delusi dallo Stato, dall’opinione pubblica, da chi ti ha inizialmente illuso che non ti avrebbe mai lasciato solo? E come si presenta il crepacuore? Forse con un infarto? E’ l’incredibile domanda cui cercano una risposta cittadini e imprenditori di Gela che hanno visto morire, spegnersi sarebbe la parola più giusta, uno di loro, un uomo coraggioso che aveva denunciato le estorsioni mafiose. Hanno visto spegnersi Nunzio Cannizzo, di 49 anni, ufficialmente deceduto per infarto mentre secondo alcuni suoi colleghi si sarebbe “suicidato, lasciandosi morire negli ultimi tre mesi, quando più acuta si è fatta la sua depressione, perché lo Stato, dopo averci utilizzato nella lotta alla mafia, ci ha abbandonato”. Cannizzo faceva parte di un gruppo di sei imprenditori, riuniti in associazione temporanea d’imprese (Ati), che hanno gestito per molti anni il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani per conto dell’Ato Ambiente Cl2 di Gela.
Cannizzo faceva parte di un gruppo di imprenditori che dopo aver subito le estorsioni per nove anni ha denunciato undici mafiosi tra boss e gregari del racket di Stidda e Cosa Nostra che sono stati condannati nell’ambito del procedimento “Munda Mundis”.
“In quel periodo in cui rischiammo la vita (ma la rischiamo anche oggi) – dice uno dei sei soci, Matteo Consoli – fummo coccolati in ogni modo dai vip dell’antimafia”.
“Dopo, restammo soli, esclusi da ogni appalto, e con un contenzioso con Ato e comune di Gela perché non hanno voluto riconoscerci i servizi prestati, sia quelli aggiuntivi che parte di quelli ordinari, negandoci 8 milioni di euro e riducendoci sul lastrico”. “Di questo, Cannizzo ha sofferto in maniera particolare”. La mia denuncia – puntualizza Consoli – non mira ad ottenere il pagamento delle nostre spettanze, per le quali stavamo tentando una transazione su proposta del commissario liquidatore dell’Ato Cl2, ma vuole denunciare con forza la strumentalità di taluni uomini delle istituzioni e di certe politiche cosiddette antimafia che usano i cittadini e la loro fiducia nello Stato per raggiungere precisi obiettivi, a volte anche di carriera personale, per poi abbandonarli, riducendoli sul lastrico e mettendo a repentaglio la loro incolumità e quella dei loro familiari”.