Giornalisti che fanno semplicemente il proprio lavoro. Scrivono un pezzo, lo pubblicano. Poi ricevono una telefonata nel cuore della notte. Poi un botto all’improvviso e la macchina prende fuoco, proprio sotto casa. In “Taci infame” (Saggiatore), Walter Molino racconta un lungo viaggio in quattro regioni del Sud, dove incontra cronisti che per lavoro si aggirano nei vicoli e nelle piazzette di paese. “Non sono eroi civili – precisa Molino -. Sono semplici cronisti, spesso precari, pagati 4 centesimi a riga”. Nino Amadore, giornalista del Sole 24 Ore ha la fortuna di raccontare la mafia borderline con il sostegno della propria testata: “Io sono fortunato – ha spiegato – perché il mio giornale mi appoggia, ma la maggior parte dei corrispondenti sono soli e precari”.
Sui cronisti vittime di mafie si sono scritti molti libri. “Ma questo è il primo sulla vita dei giornalisti vivi, impegnati nella cronaca mafiosa dal fronte del Sud”, come ha spiegato Molino. Nei territori dominati dalle mafie, i giornalisti che indagano e denunciano diventano bersaglio di minacce, intimidazioni e aggressioni. Lavorano solitamente in testate locali, come accadeva a Mauro Rostagno o a Peppino Impastato, sono indifesi e vulnerabili, rimangono sconosciuti, finché non arrivano a subire la violenza estrema dell’omicidio. Questo libro è un reportage esemplare sulla più inquietante periferia dell’informazione italiana, quella del Mezzogiorno d’Italia, grazie al quale vengono sottratte dal silenzio e dall’isolamento persone e storie altrimenti invisibili. Tra le vite raccontate da Molino c’è quella di Nino Amadore, giornalista e autore del libro-inchiesta sulla mafia “La zona grigia”. “Spesso mi trovo a spiegare a mia figlia qual è il mio lavoro – ha raccontato Amadore -, una vita a ricevere telefonate, macchine rigate e addirittura incendiate per raccontare notizie che in televisione hanno una risonanza addirittura didascalica”. Ma allora perché? Dove trova la forza di continuare il proprio lavoro, tra minacce, intimidazioni e mancanza di risonanza? “Chi fa questo mestiere non si accorge nemmeno delle minacce – ha detto -. Si comincia con grande ingenuità. Così è stato per me e per molti altri colleghi: ho scritto la prima inchiesta sui rifiuti del mio paese che arrivavano in una discarica abusiva. L’ho fatto ingenuamente, raccontando semplicemente quello che stava succedendo”. Poi le inchieste sul cemento per arrivare alla mafia borderline di cui parla nel suo libro (“La zona grigia”).
A differenza dei giovani cronisti del libro di Molino, però, Amadore si ritiene fortunato: “Il giornale per cui scrivo mi sostiene e mi difende. Nella maggior parte dei casi, invece, i corrispondenti sono soli, sottopagati e precari”. Ed è proprio questa la realtà che “Taci infame” esplora. “Ho scritto questo libro per capire cosa accade realmente dopo le minacce – ha spiegato Molino -. Quando un cronista riceve una busta con dei proiettili, una telefonata minatoria e via dicendo apprendiamo la notizia dalle agenzie. In seguito parte il coro del sostegno da partiti, sindacati fino alla costituzione di gruppi Facebook”. E poi? “Nulla, non accade nulla – ha aggiunto -. Dopo la solidarietà a parole non succede niente e questi cronisti continuano con coraggio a raccontare quello che succede per 300 euro al mese”.
Ma nella difficoltà, nella sottovalutazione e nel pericolo il testo regala uno spiraglio positivo: “Se coltivato correttamente è questo il futuro del giornalismo – ha detto Amadore -. Il giornalismo di frontiera può crescere”. Con una condizione, però: “Dobbiamo stare attenti ai miti – spiega Molino -. Autori come Saviano hanno il merito di aver raccontato a milioni di persone una realtà complicata come quella della Camorra napoletana, ma i cronisti che ogni giorno raccontano altre mafie fanno un lavoro diverso: devono pesare le parole e capire come relazionarsi con i boss mafiosi”.
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