Un Mezzogiorno sempre più spopolato, da cui entro il 2065 spariranno due milioni di under 44, tra denatalità, disoccupazione e nuove emigrazioni. Una terra a rischio desertificazione industriale, dove crollano consumi e investimenti, risale la disoccupazione ufficiale, ma dove in cinque anni le famiglie povere sono aumentate del 30%, pari a 350mila nuclei.
Questa la fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2013 diffuse oggi a Roma.
Pil e Mezzogiorno – In base a valutazioni SVIMEZ nel 2012 il Pil italiano è sceso a -2,4%. A livello di ripartizione, è sceso nel Mezzogiorno del 3,2%, approfondendo la flessione già registrata l’anno precedente (-0,6%), con un calo superiore di oltre un punto percentuale rispetto al Centro-Nord (-2,1%). Da rilevare che per il quinto anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno registra segno negativo, segno della criticità dell’area. Il peggior andamento del Pil meridionale nel 2012 è dovuto, oltre che allo stimolo relativamente inferiore offerto dalle esportazioni, soprattutto ad una più sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti. Le Regioni del Sud infatti hanno risentito da un lato del calo della domanda estera, ma soprattutto della riduzione della domanda interna, associata al calo della loro competitività sul mercato nazionale, che ha riguardato sia la spesa per consumi, sia la spesa per investimenti, ridotta ulteriormente più che nel resto del Paese.
Non va meglio nel medio periodo: negli ultimi undici anni, dal 2001 al 2012, il Mezzogiorno ha registrato un calo del 3,8%, decisamente distante dal Centro-Nord (+3,3%), a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree.
Dinamica ancor più pesante se ci si limita a osservare il periodo della crisi; negli ultimi quattro anni, dal 2008 al 2012 il Mezzogiorno ha perso oltre il 10% di Pil, quasi il doppio del Centro-Nord (-5,8%).
A livello regionale, quindi, segno negativo per tutte le regioni italiane. Dinamica negativa più contenuta nel Lazio e in Lombardia (-1,7%) e in Trentino Alto Adige e Toscana (-1,9%). Ma anche le regioni del Centro-Nord, invertendo la modesta ripresa del 2012, sono tornate a segnare cali significativi, come l’Emilia Romagna (-2,3%), il Veneto (-2,4%), il Piemonte e le Marche (-2,8%), fino alla Valle d’Aosta (-3,8%). Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -2,1% del Molise e della Campania e il -4,3% della Sicilia, fanalino di coda nazionale. In posizione intermedia la Calabria (-2,9%), la Puglia (-3%), Sardegna (-33,5%), Abruzzo (-3,6%) e Basilicata (-4,2%).
Guardando agli anni della crisi, dal 2008 al 2012, si confermano le profonde difficoltà della Campania e della Sicilia, che segnano cali cumulati rispettivamente del 10,8% dell’11%, accanto alla Calabria (-10,2%), Basilicata (-11,8%) e Molise (-14%).
Pil per abitante e divari storici – In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2012 è sceso al 57,4% del valore del Centro Nord, con un Pil pro capite pari a 17.263 euro, in calo rispetto ai 17.495 euro del 2011.
In valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.713 euro, risultante dalla media tra i 30.073 euro del Centro-Nord e i 17.263 del Mezzogiorno. Nel 2012 la regione più ricca è stata la Valle d’Aosta, con 34.415 euro, seguita da Lombardia (33.443), Trentino Alto Adige (33.058), Emilia Romagna (31.210 euro) e Veneto (29.477 euro). Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (21.244 euro). Seguono il Molise (19.845), la Sardegna (19.344), la Basilicata (17.647 euro), la Puglia (17.246), la Sicilia
(16.564) e la Campania (16.462). La regione più povera è la Calabria, con 16.460 euro.
Il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2012 pari a circa 18mila euro: in altri termini, un valdostano ha prodotto nel 2012 circa 18mila euro in più di un calabrese.
Il crollo dei consumi – I consumi delle famiglie meridionali sono stati duramente colpiti, arrivando a ridursi nel 2012 del 4,8%, a fronte del -3,8% delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2012 la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha superato nel Mezzogiorno i nove punti percentuali (-9,3%), risultando di oltre due volte e mezzo maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-3,5%). In particolare, il calo cumulato della spesa è stato al Sud del -11,3% per i consumi alimentari, a fronte del -8,8% del Centro-Nord; e di ben il -19,2% per il vestiario e calzature, quasi doppio che nel resto del Paese (-11,4%).
Per effetto del maggior impatto delle manovre di contenimento della spesa pubblica, decisamente più intensa al Sud dal 2008 al 2012 anche la contrazione dei consumi della Pubblica Amministrazione, ridotti cumulativamente del -6%, quattro volte in più rispetto al resto del Paese (-1,4%).
Gli investimenti – Gli investimenti fissi lordi dal 2008 al 2012 son crollati del 25,8% nel Mezzogiorno e di poco meno del 22% nel Centro-Nord. Guardando al periodo 2001 – 2012, gli investimenti si riducono al Sud del -17,4% a fronte del -10% nel Centro-Nord.
A livello settoriale, si segnala nel capitale del Mezzogiorno un vero e proprio crollo degli investimenti dell’industria in senso stretto, ridottisi in cinque anni, dal 2007 al 2012 di quasi il 47%, più del doppio rispetto al già pesante calo del Centro-Nord (-21,4%). Dal 2001 al 2012 la contrazione dell’accumulazione industriale ha assunto nel Sud una dimensione pressoché epocale, con una riduzione che tocca il 50% a fronte di -15% nell’altra parte del Paese. Giù anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo cumulato del -23,5% al Sud e del -24,5% al Centro-Nord.
Giù tutti i settori – Nella crisi la riduzione del valore aggiunto è stata più intensa al Sud in tutti i settori produttivi. Peggio di tutti l’industria: qui il valore aggiunto è diminuito al Sud negli anni 2008 – 2012 cumulativamente del -22%, a fronte del -13,4% nel resto del Paese. In calo anche le costruzioni, il cui valore aggiunto è diminuito cumulativamente al Sud di quasi il 27% a fronte del -20,2% del Centro-Nord. Scendono nel periodo in questione anche i servizi, -5,1% al Sud e -1,9% al Centro-Nord.
Segno negativo anche se si guarda al solo 2012: l’agricoltura perde il 3,4% al Sud e il 5,1% al Centro-Nord; l’industria crolla del 5,5% al Sud e del 3,9% al Centro-Nord; i servizi segnano -2,8% al Sud contro -1,8% dell’altra ripartizione.
Il deserto industriale – Dal 2008 al 2012 il settore manifatturiero ha ridotto di un quarto il proprio prodotto, poco meno gli addetti, e ha quasi dimezzato gli investimenti. La crisi non è stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione di prodotto e occupazione è stata di circa 10 punti inferiore, quella degli investimenti di circa 20. Nel 2012 la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud al 9,2%, un dato ben lontano dal 18,7% del Centro – Nord e dal 20% auspicato dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi.
Il crollo della produzione e degli investimenti industriali ha comportato una forte diminuzione degli occupati nel settore: -95,2 mila unità pari al -10,5% tra il 2008 e il 2012, contro -7,3% del Centro – Nord. Gli addetti industriali nel 2012 erano al Sud appena 38,8 per mille abitanti contro 95,7 del Centro-Nord.
Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.
Si torna a cercare lavoro: risale la disoccupazione “ufficiale”– Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2012 registra una caduta dell’occupazione del -4,6%, a fronte del -1,2% del Centro-Nord. Delle 506 mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 301 mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 27% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi.
Nel Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2012 l’occupazione cala in tutti i settori dell’economia: calo più contenuto nei servizi (-1,3%) e nell’agricoltura (-1,8%), crollo nell’industria in senso stretto (-10,5%) e soprattutto nelle costruzioni, dove un occupato su cinque ha perso il posto di lavoro (-21,6%). In valori assoluti, su oltre 300mila posti di lavoro in meno dal 2008 al 2012 al Sud 234mila si concentrano nell’industria.
A livello regionale, la quasi totalità delle perdite si concentra in tre regioni: la Campania perde 93mila posti di lavoro, la Sicilia 85mila, la Puglia 49mila.
Limitatamente all’ultimo anno, nel 2012 gli occupati diminuiscono in Italia di 68mila unità, -33 mila nel Centro-Nord (-0,2%) e – 35 mila unità nel Mezzogiorno (-0,6%). La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud ai livelli di fine anni ’90, indietro di oltre vent’anni.
Da segnalare nel 2012 il forte aumento del tasso di disoccupazione. Quello “ufficiale” nel 2012 è stato del 17,2% al Sud e dell’8% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro. Si riprende inoltre a cercare attivamente lavoro più che alimentare il sommerso e l’inattività. In un anno i disoccupati ufficiali al Sud sono cresciuti di oltre 200mila unità, salendo da 978mila a oltre 1 milione 281mila, mentre i disoccupati “impliciti” sono passati da 1 milione 73mila a 1 milione 60mila. Il tasso di disoccupazione ufficiale rileva però una realtà in parte alterata. La zona grigia del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord sfiorerebbe la soglia del 12% e al Sud più che raddoppierebbe, passando nel 2012 al 28,4%.
I giovani e gli inattivi – In Italia tra il 2008 e il 2012 sono andati persi 1.321,1 mila posti di lavoro fra gli under 34, di cui 389mila nel Sud. Nel primo trimestre del 2013 il tasso di disoccupazione giovanile tra 15 e 24 anni si è attestato al 51,9% nel Mezzogiorno e al 36,3% al Centro-Nord.
Tra il 2008 e il 2012 il tasso di occupazione giovanile è diminuito nel Mezzogiorno dal 35,9% al 30,8%. Nello stesso periodo, nel Centro-Nord il tasso è calato dal 59,7% al 51,3%. Il tasso di occupazione femminile è fermo al Sud al 23,6%. I diplomati e i laureati nel Mezzogiorno presentano tassi di occupazione (rispettivamente 31,3% e 48,7%) decisamente più contenuti di quelli del resto del Paese (rispettivamente 56% e 71%).
In base ai dati Istat, nel 2012 i giovani Neet (Not in education, employment or training) hanno raggiunto 3 milioni 327 mila con un aumento rispetto al 2007 di circa 540 mila unità. Di questi, quasi 2 milioni sono donne (58% circa) ed 1 milione 850 mila si trovano al Sud. Curiosamente, crescono di più al Centro-Nord: +38,7%, contro poco più del 7%. Sembra che, con la crisi economica, il fenomeno dei Neet si stia estendendo da Sud al resto del Paese.
Donne – Non è esagerato oggi parlare di vera e propria segregazione occupazionale delle donne, che nel Mezzogiorno scontano una precarietà lavorativa maggiore sia nel confronto con i maschi del Sud sia con le donne del resto del Paese. Su 1 milione 850mila inattivi meridionali, 1 milione e 32mila sono donne, praticamente 2 su 3. Il deterioramento qualitativo dell’occupazione femminile è al Sud una realtà purtroppo consolidata: una donna occupata ogni cinque ha un contratto a termine non per sua scelta, legato all’occasionalità e stagionalità del lavoro. Non a caso negli ultimi cinque anni, dal 2008 al 2013, al Sud calano le occupate qualificate e tecniche (-11,6%) mentre crescono del 26% le donne non qualificate.
Migranti, laureati e pendolari – In dieci anni, dal 2001 al 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord 1.313 mila persone, di cui 172 mila laureati. Nel solo 2008, prima della crisi economica, il Sud ha perso oltre 122 mila residenti a vantaggio del Centro-Nord, a fronte di un rientro di circa 60 mila persone: una perdita di popolazione tripla rispetto a quella degli anni ottanta.
Emigrano sempre più i laureati: nel 2000 i laureati meridionali migranti erano il 10,7% del totale di quanti si trasferivano al Centro-Nord, dieci anni dopo, nel 2011, sono più che raddoppiati, salendo al 25%. In più, nel periodo in esame, sono emigrati all’estero 180 mila meridionali, di cui 20 mila laureati.
In risalita anche i pendolari di lungo raggio, che lavorano al Centro-Nord pur mantenendo la residenza al Sud. Nel 2011 i pendolari Sud-Nord, dopo la forte flessione nel 2009-2010, in cui erano scesi a 130 mila all’anni, sono risaliti a 140 mila e nel 2012 hanno superato quota 155 mila.
Un Sud sempre più desertico – Nel silenzio generale, lentamente, l’Italia sta cambiando geografia, per effetto del calo delle nascite, i minori rientri in età fertile, gli spostamenti delle componenti più dinamiche, giovani e qualificate verso il Nord. Dal 2012 al 2065 è previsto un calo di 4,2 milioni di persone nel Sud, a fronte di un aumento di 4,5 nel Centro-Nord. In altri termini, la popolazione del Mezzogiorno sul totale nazionale crollerà dall’attuale 34% al 27,3%, da circa un terzo a circa un quarto. Di questi, il 53%, oltre 2 milioni, ha meno di 44 anni: ciò significa che in assenza di misure specifiche rivolte all’incremento demografico il Mezzogiorno dei prossimi decenni sarà fortemente decimato nella sua componente più vitale, prolifica e produttiva.
Il Sud sempre più povero – In Italia un milione e 725 mila famiglie si trovavano nel 2012 al di sotto della soglia di povertà assoluta, con un aumento di 750 mila unità rispetto al 2007: nel Centro-Nord erano assolutamente povere circa 930 mila famiglie del Centro-Nord, a fronte di circa 790 mila famiglie del Mezzogiorno. La povertà assoluta è aumentata in cinque anni, dal 2007 al 2012, di due punti percentuali nel Centro-Nord (dal 3,3 al 5,4% delle famiglie) e di ben quattro nel Mezzogiorno (dal 5,8 al 9,8%). In altri termini, nel periodo in questione al Sud le famiglie povere sono cresciute del 30%, pari a 350mila nuovi nuclei.
Guardando al reddito, il 14,1% delle famiglie meridionali e il 5,1% di quelle del Centro-Nord ha meno di mille euro al mese (12.000 euro annui). In particolare, hanno entrate inferiori a mille euro al mese il 12,8% delle famiglie calabresi; il 14,9% di quelle campane, il 16,7% di quelle lucane e il 19,7% delle siciliane. Al contrario, le famiglie che hanno più di 3 mila euro mensili (oltre 36.000 euro annui) sono circa il 44% nel Centro-Nord e solo il 24,1% nel Mezzogiorno.
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