Settembre 19, 2024

dal Corriere della Sera
PALERMO – I pubblici ministeri volevano mandarlo in carcere, perché gli contestano di aver «agevolato l’ attività dell’ associazione mafiosa denominata Cosa Nostra», ma il giudice non condivide l’ aggravante e ha ritenuto sufficienti gli arresti domiciliari. Tuttavia, scrive lo stesso giudice, i suoi comportamenti dimostrano «una notevole professionalità nell’ azione criminosa, messa in atto nella piena convinzione di fornire il proprio apporto in favore di un soggetto particolarmente vicino all’ organizzazione mafiosa». E «il ruolo chiave» svolto nel tentativo di nascondere il denaro agli inquirenti «lascia fondatamente ritenere la concretezza e attualità del pericolo di reiterazione delittuosa». Per questi motivi, ieri mattina, i funzionari della Direzione investigativa antimafia hanno notificato un ordine d’ arresto in casa con l’ accusa di «intestazione fittizia di beni» a Paolo Sciumè, avvocato d’ affari di 66 anni, studio a Milano con sedi distaccate a Roma, Bologna, Rimini e Varese dove lavorano oltre cento collaboratori, consigliere della Scala, banche e società tra cui Mediolanum, professionista noto nel mondo politico e finanziario, imputato per il crack Parmalat assolto a Milano e ancora sotto processo a Parma. È l’ ultimo atto di un’ inchiesta della Procura di Palermo, coordinata dai pubblici ministeri Scarpinato, Ingroia e Asaro, sul riciclaggio operato dai cosiddetti «colletti bianchi» che parte da lontano. Addirittura dalle gesta dell’ ex sindaco Vito Ciancimino. L’ imprenditore siciliano per il quale si sarebbe speso l’ avvocato Sciumè, aiutandolo a proteggere circa 13 milioni di euro di sospetta provenienza mafiosa che poi gli inquirenti sono riusciti a sequestrare, è Francesco Zummo, già condannato come prestanome di Ciancimino e successivamente per aver favorito il costruttore Vincenzo Piazza, riconosciuto come uomo delle cosche e suocero del figlio di Zummo, Ignazio. Nel maggio scorso i due Zummo furono arrestati nell’ inchiesta sui soldi depositati presso un fondo chiamato «Pluto» alle Bahamas, assieme al co-direttore di una banca svizzera, Nicola Bravetti. Già allora emergevano indizi sul ruolo dell’ avvocato Sciumè nella costituzione di «Pluto», ma in seguito è stato proprio il banchiere svizzero – riferisce il giudice – a spiegare che era lui il vero regista dell’ operazione. Tanto che quando Bravetti si preoccupò per uno stop arrivato dalla filiale di Singapore della Paribas per i «gravissimi» precedenti giudiziari del marito, fu proprio Sciumè a rassicurarlo. «Mi disse che alla fine queste persone sarebbero risultate innocenti», ha detto ai magistrati. Le dichiarazioni del banchiere, assieme alle intercettazioni nelle quali Zummo e Bravetti parlano del «comune amico», hanno convinto il giudice che «il tributarista milanese fosse il soggetto che aveva messo in contatto lo Zummo col Bravetti, proponendo allo stesso banchiere la realizzazione di tre trust all’ estero e gestendo l’ operazione». Niente a che vedere con un’ attività di «consulenza legale», bensì un «illecito contributo decisivo all’ individuazione di un meccanismo finanziario che potesse sottrarre agli organi investigativi la somma milionaria che già si trovava all’ estero». Il tutto nella piena consapevolezza, secondo l’ accusa, dei pregressi coinvolgimenti di Zummo nei processi per mafia. In serata, ieri, la replica degli avvocati Pulitanò e Randazzo, difensori del collega arrestato: «Confidiamo di ottenere al più presto la revoca di una misura che tocca la dignità personale e professionale di Paolo Sciumè e non risponde ad alcuna funzione di cautela processuale, per un’ ipotesi di accusa che non ha alcun fondamento nella realtà». Giovanni Bianconi


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