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Revocato il 41bis al boss Troia

PALERMO. Sarebbe “privo di adeguata motivazione” il provvedimento di proroga del 41 bis al capomafia di Capaci Antonino Troia, all’ergastolo per la strage in cui venne ucciso Giovanni Falcone.
Lo sostengono i giudici del tribunale di sorveglianza di Roma che hanno revocato la misura che imponeva il carcere duro al boss. Secondo il collegio il provvedimento di proroga si limita ad affermare genericamente che Troia ha una posizione di vertice in Cosa nostra e si allegano tre decreti di sequestro a carico di una serie di esponenti mafiosi di diverse ‘famiglie’.
“Quanto al profilo criminale – scrivono i giudici – Troia è stato giudizialmente riconosciuto capo della famiglia mafiosa di Capaci e in quanto tale responsabile della strage del 23 maggio 1992 e della commissione di altri quattro omicidi consumati a Capaci nel 1991. E’ quindi delineato un ruolo sicuramente di rilievo accertato sino al 1992”.
“La perdurante operatività della famiglia mafiosa (altro requisito a cui la legge subordina la proroga del 41 bis n.d.r.) – proseguono – non risulta invece comprovata. Nessuna delle vicende riportate nel decreto ministeriale appare riconducibile alla famiglia di Capaci e ancor meno alla persona di Troia. E non emerge alcun indizio di attuale sussistenza dell’interesse dell’organizzazione mafiosa a intessere indebiti collegamenti con Troia”.
Insomma i giudici bacchettano la superficialità della motivazione posta alla base del 41 bis e aggiungono: “Nel corso degli ultimi 19 anni non è mai emerso alcun elemento, giudiziario e non, che possa dirsi sintomatico di perdurante esercizio o riconoscimento del ruolo di vertice di Troia”. Per il tribunale, insomma, l’unico elemento di valutazione utile del provvedimento è la posizione di spicco del detenuto nel clan fino al 1992.
“Se è vero – concludono – che il decorso del tempo non può da solo costituire elemento decisivo di valutazione, è altrettanto illegittimo fondare il giudizio richiesto dall’art.41 bis esclusivamente sul ruolo esercitato 20 anni fa da persona che oggi, settantenne e malata, e sottoposta da 19 anni a rigorosissimo ed afflittivo regime penitenziario non ha più avuto relazione diretta o indiretta con un’organizzazione che, pur nell’ambito di Cosa nostra, non è noto sei sia localmente attiva e, soprattutto, in qualsiasi modo ancora legata a interessi legati a Troia”.

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