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Reggio Calabria: il patto tra la ‘ndrangheta e lo stato e i retroscena due anni dopo l’attentato alla procura generale

I misteri e gli  interrogativi a Reggio Calabria non sono finiti dal 3 gennaio 2010,  quando un ordigno esplose sotto il portone della procura generale a  Reggio Calabria. Un gesto eclatante che mise la magistratura reggina sotto i riflettori dell’opinione pubblica e all’attenzione del governo.  Il video diffuso poco dopo, che riproduce le immagini riprese dalla telecamera di videosorveglianza istallata all’esterno dell’ufficio giudiziario, mostrava due persone su un motorino che lasciavano una bombola con una miccia accesa. Uno indossava una parrucca e scarpe da donna.  
A qualche mese di distanza, Antonino Lo Giudice ha iniziato a collaborare con la giustizia e si è assunto la responsabilitá dell’attentato, cui è seguito nell’agosto successivo l’attentato al portone dell’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro e il bazooka fatto ritrovare a qualche centinaia di metri in linea d’aria dal Cedir, indirizzato al procuratore Giuseppe Pignatone. Il collaboratore ha indicato Antonio Cortese come il presunto armiere della cosca Lo Giudice. Il motivo del gesto sarebbe attribuibile al presunto tradimento dello Stato da cui si sentiva in un certo senso protetto per l’amicizia con Saverio Spadaro Tracuzzi, il capitano dei carabinieri arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
      Nell’autunno 2009 era stato arrestato il fratello Luciano Lo Giudice, l’anima economica e imprenditoriale della cosca, ed erano arrivati i primi sequestri di beni. Questa offensiva inaspettata dei magistrati e della polizia avrebbe ispirato un sentimento di vendetta da parte di Antonino Lo Giudice, che avrebbe quindi commissionato i tre episodi delittuosi. È attualmente un pentito ritenuto attendibile dai magistrati.
      Nelle più recenti settimane tuttavia un altro neocollaboratore di giustizia ha iniziato a parlare degli stessi fatti. Marco Marino si trova in carcere per scontare la pena dell’ergastolo per aver partecipato alla rapina al furgone portavalori durante la quale il primo agosto 2007 morì la guardia giurata Luigi Rende. Marino, sulla cui attendibilitá i magistrati non si sono ancora espressi, era vicino al clan Serraino di Reggio Calabria.
Avrebbe parlato dei rapporti tra l’allora sostituto procuratore generale Francesco Neri (trasferito dal Csm
pochi giorni prima dell’attentato alla procura generale di due anni fa per incompatibilitá ambientale) con l’avvocato Lorenzo Gatto.  Lo stesso Marino avrebbe affermato di aver tenuto Gatto come
legale perchè sperava che il suo legame con il pg Neri potesse  aiutarlo ad aggiustare il processo. Non sono note tuttavia vicende specifiche che provino interventi favorevoli alla difesa nei processi.
Inoltre, parlando del bazooka, Marco Marino ha affermato di averne visto altri uguali a quello esposto in questura perchè il clan Serraino era in grado di farne arrivare in Italia. Le diverse posizioni dei due collaboratori di giustizia non diradano le ombre ma, anzi, le addensano.  Tanto più che sugli esami fatti fare sul bazooka non sono stati rilevati elementi biologici che possano dare un’identitá a chi lo ha maneggiato. Degli attentati ai magistrati di Reggio Calabria si occupa la procura di Catanzaro, che sta raccogliendo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Marco Marino. (ADNKRONOS)

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