Il “pizzo” è vecchio almeno quanto l’Unità d’Italia e se ne hanno notizie, finora non documentate, sin da quando la mafia operava nelle sue forme primordiali. Una recente scoperta dello storico Vincenzo Prestigiacomo, che ha trovato a Palermo la prima “lettera di scrocco”, datata 1897, prova che a cavallo fra Ottocento e Novecento le famiglie mafiose, anche sulla spinta del boss Vito Cascio Ferro rientrato dagli Usa, per rimpinguare le proprie casse decisero di taglieggiare a tappeto tutte le famiglie aristocratiche e facoltose della città (i cui beni finora erano stati “protetti” dai campieri e dagli stessi mafiosi) che a quell’epoca dilapidavano enormi ricchezze per sfoggiare un lusso sfrenato.
Prestigiacomo, nel volume “Vita mondana e Mano Nera nella Palermo della Belle Epoque”, pubblica numerosi documenti inediti e ricostruisce tredici anni di gesta della “Mano Nera”, dai nobili imbarazzati che cedevano ai ricatti ai tentativi di “aggiustamento” presso i capi della “famiglia” di San Lorenzo, anche allora la più potente; dagli atti intimidatori contro chi non pagava al primo sequestro di persona a danno di una bambina; dalle omertà su questa “pestilenza” che si cercava di celare mantenendo etichette e vita mondana ai primi omicidi “eccellenti” frutto di una già allora consolidata collusione tra boss e istituzioni.
Questa ricostruzione storica, che evidenzia l’uso della richiesta indifferenziata di “pizzo” a chiunque abbia disponibilità economiche, aiuta anche a spiegare in parte come mai, nonostante i pesanti colpi inferti dallo Stato a Cosa nostra negli ultimi anni, il fenomeno delle estorsioni non stia conoscendo ancora flessioni. Lo storico Vincenzo Prestigiacomo illustrerà i dettagli delle sue scoperte in una conferenza stampa domani, 22 ottobre, alle ore 10, presso Palazzo Sambuca, in via Alloro, 36, dove nel dicembre 1899 l’on. Pietro La Vegna, accoltellato da un sicario nella vicina via Scopari, ricevette i primi soccorsi dal medico Alfonso Lo Bue che abitava nel vicino palazzo Gambacorta.
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