di Mario Meliadò
A volte, la memoria è più diseguale di altre. E’ sicuramente il caso di San Roberto, località preaspromontana non lontanissima da Reggio Calabria dove il 5 aprile 1959 un guardiano, il 49enne Francesco Saccà, affrontò e uccise il due-volte-sindaco sanrobertese Giovanni Busceti che però agonizzò per tutta la notte, spirando (dopo una terapia cui pareva aver risposto bene, trasfusioni “a valanga” incluse) solo al mattino del 6 aprile. Esattamente mezzo secolo fa.
Il primo cittadino – attinto all’addome da 2 dei 5 colpi di pistola esplosi dall’assassino, pregiudicato per una sterminata serie di reati: dalla libidine violenta all’associazione a delinquere – stramazzò al suolo, in pieno giorno, nella piazza principale del paese subito dopo una seduta della “sua” Giunta comunale. In quella seduta dell’esecutivo, aveva detto un “no” di troppo: aveva scelto di testa sua il successore del precedente medico condotto, gran lavoratore, amato dai suoi assistiti al punto che la sola idea del suo avvicendamento aveva dato adito a tumulti e manifestazioni pubbliche davanti alla Prefettura del capoluogo di provincia. Volevano la conferma del medico uscente nel ruolo (a quei tempi assai prestigioso: in fondo, eravamo nel ’59, in un paesino di poche centinaia di anime…) di medico condotto.
Prim’ancora di quella sessione di Giunta, credendo di ottenere un’ulteriore legittimazione tecnica e oltretutto di cautelarsi, il sindaco Busceti aveva pensato di rivolgersi all’Ordine dei medici per ottenere una terna di nomi da cui scegliere per il nuovo incarico: dettaglio non da poco, l’Ordine non aveva neppure incluso il precedente medico condotto nella triade proposta all’Amministrazione di San Roberto, visto che dopo un anno il suo mandato poteva ben ritenersi concluso.
E il primo cittadino non poteva sapere che questo e altri episodi erano stati vissuti come un affronto personale da parte di Saccà, che gli investigatori ritenevano un po’ il capobastone della zona; certamente, un elemento di spicco della vallata. Non solo perché la nomina di altro aspirante era implicitamente reputata una menomazione del suo <prestigio> personale, com’ebbero a scrivere alcuni giornali del tempo; ma anche perché proprio il medico condotto poi avvicendato aveva letteralmente salvato la vita a sua moglie, nel corso di un drammatico parto.
L’integrità morale di quel sindaco, in questo e altri episodi, ne determinarono l’assassinio.
In prima battuta, un episodio tragicomicamente obliterato dalla stampa locale che, ben lungi dal tirar fuori lemmi “impegnativi” come “mafia”, “ ‘ndrangheta”, “criminalità organizzata” ne scrisse come del <gesto delittuoso di uno sciagurato>, anzi <uno dei tanti delitti inutili>.
In seconda analisi, una vicenda sulla quale è praticamente calato un oblio di mezzo secolo, malgrado “quel” sindaco fosse lo stesso che – realizzando l’acquedotto – consentì agli abitanti di San Roberto di avere l’acqua potabile in casa.Ora l’attuale sindaco del centro preaspromontano Roberto Vizzari deporrà una corona d’alloro sulla tomba del suo predecessore caduto per mano di mafia. E sarà celebrata una messa a suffragio. Dopo 50 anni, la memoria torna finalmente a funzionare.
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