di Nino Amadore
C’è un filo che unisce la morte del bandito Turiddu Giuliano, avvenuta a Castelvetrano il 5 luglio del 1950, e le stragi mafiose degli anni 1992-1993. Ci sono uomini dello stato che si sono mossi all’ombra di quello che è stato definito “Il noto servizio” e che ha preso forma in un libro dal titolo “L’anello della Repubblica” scritto dalla giornalista Stefania Limiti. Un filo conduttore con cui si stanno confrontando i magistrati della procura antimafia di Palermo Paolo Guido, Lia Sava e Francesco Del Bene coordinati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Così il risultato degli esami sui resti estratti ieri da un loculo del dimitero di Montelepre cominciano ad avere grande pertinenza con ciò che è accaduto nel nostro paese negli ultimi vent’anni. I magistrati che indagano sull’omicidio di Giuliano (alcuni dei quali partecipano anche alle indagini sulla trattativa tra Stato e mafia) hanno avviato tutto sulla base di un esposto presentato dallo storico Giuseppe Casarrubea e hanno già interrogato i giornalisti Stefania Limiti e Paolo Cucchiarelli. In quella occasione l’autrice dell’Anello ha riferito ai magistrati ciò che sapeva: «Un uomo dell’Anello mi disse che Salvatore Giuliano non era stato ammazzato nel cortile dell’avvocato De Maria, che il bandito era morto molto tempo dopo e che l’operazione era stata gestita dalle spie di questo servizio segreto clandestino». E poi ha aggiunto: «A proposito delle stragi invece una sorta di conferma indiretta che il Noto servizio possa avere avuto un ruolo è arrivata da Totò Riina». U curtu, nel luglio del 2009, dopo aver letto sul Sole 24Ore un articolo in cui a proposito del signor Franco e del via vai di agenti dei servizi in quel disgraziato 1992 con un richiamo preciso all’attività dell’Anello (sembrano uomini del Noto servizio, c’era scritto nel pezzo) sbottò, secondo la cronaca dettagliata dei giornali e dello stesso avvocato di Riina, Cianferoni: «Iddi foru (loro sono stati). Avvocato, io con questa storia non c’entro nulla. Avvocato gli vada sotto tranquillamente: le assicuro che è come le sto dicendo. Trattativa? Io trattativa non ne ho fatto con nessuno, ma qualcuno ha trattato su di me. La mia cattura è stata conseguenza di una trattativa». Ecco perché i magistrati di Palermo hanno interrogato nei giorni scorsi l’avvocato di Riina che ha confermato punto punto la ricostruzione della vicenda, peraltro riportata nell’ultima edizione sulla storiua dei servizi segreti in Italia scritta da Giuseppe De Lutiis. Ed è l’attività di questo noto servizio (o più di un noto servizio nel corso degli anni) a poter dare una fisionomia a ciò che è accaduto per condizionare ancora una volta la vita politica e sociale del nostro paese: con il re di Montelepre c’è stata prima la trattativa (la madre di tutte le trattative, è stato detto) e poi una messinscena per metterlo fuori gioco (vivo o morto sarà l’esame del dna, forse, a dircelo); nel caso delle stragi ci sono stati prima i morti (la strage di Capaci annunciata dall’agenzia Repubblica vicina a certe aree dei servizi segreti), la strage di Via D’Amelio di cui si è detto e poi le altre. Del resto, come ha scritto Gianni De Gennaro allora a capo della Direzione investigativa antimafia in un’analisi di contesto fatta subito dopo le stragi, «gli esempi di organismi nati da commisstioni tra mafia, eversione di destra, finanzieri d’assalto, funzionari dello stato infedeli e pubblici amministratori non mancano». Ecco perché assume una certa rilevanza in questo contesto la notizia che nel garage in cui fu preparata l’autobomba destinata a Borsellino (“è già arrivato ‘esplosivo” li disse) possa esserci stato un uomo esterno a Cosa nostra magari un uomo dei servizi e i particolare di quel “noto servizio” di cui abbiamo detto: ieri l’avvocato di Lorenzo Narracci, l’agente dell’Aisi che comunque è indagato, ha smentito che vi sia stato alcun riconoscimento da parte di Gaspare Spatuzza il quale avrebbe parlato di somiglianza. E intanto il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari ha annunciato che entro tre mesi l’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio potrebbe essere chiusa. A Palermo è indagato un altro uomo dei servizi per le presunte pressioni fatte a Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito il quale non manca di ricordare i suoi incontri con personaggi opachi ed equivoci e di aver fatto da tramite con Totò Riina per la stesura del papello, le richieste che la mafia avrebbe fatto allo stato per far cessare le stragi. È indagato anche il generale Mario Mori, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per il suo ruolo avuto nella trattativa. I magistrati continuano a sostenere che hanno agito i sistemi criminali. Oggi a Palermo, Roma, Milano e Firenze come allora, ai tempi della strage di Portella della Ginestra e della banda del re di Montelepre.
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