di Nino Amadore
Il progetto è ormai in stato di avanzata attuazione: una lista “mafia-free” anche per i professionisti. L’iniziativa è dei giovani del movimento Addio Pizzo e dell’associazione antiracket Libero Futuro di Palermo. Sono loro ad aver messo insieme un gruppo “interdisciplinare” di professionisti della città per cercare di dare una forma giuridica a un progetto che si è rivelato finora di difficile attuazione: un pool di giuristi sta valutando in che modo è possibile arrivare a un codice etico che sia poi adottabile dagli Ordini professionali. Una accelerazione dettata anche dall’ormai stato patologico del coinvolgimento di professionisti in operazioni antimafia: da Giuseppe Liga, architetto e ritenuto l’erede di Salvatore Lo Piccolo al vertice del mandamento mafioso di San Lorenzo-Tommaso Natale a Vincenzo Rizzacasa, altro architetto finito in carcere, ritenuto prestanome di un altro mafioso come Salvatore Sbeglia, fino all’ingegnere Francesco Lena, titolare dell’azienda agricola Abbazia Sant’Anastasia di Castelbuono finito in carcere con l’accusa di essere addirittura prestanome addirittura di Provenzano. Il punto di partenza di un possibile codice etico resta la famosa “Carta di Palermo”, proposta nel 2007 da Elio Caprì, architetto e presidente dell’Associazione regionale Liberi professionisti architetti e ingegneri. Sul piano giuridico le novità non mancano. Dalla parte di chi sostiene che gli Ordini possono intervenire direttamente in materie così delicate c’è la decisione del Consiglio nazionale degli ingegneri che ha respinto il ricorso di Michele Aiello, l’ormai ex ingegnere titolare della clinica Santa Teresa di Bagheria e ritenuto dai giudici, che lo hanno condannato a 14 anni di carcere, prestanome di Bernardo Provenzano. Il Consiglio nazionale degli ingegnere ha accolto le tesi sostenuto in “primo grado” dal Consiglio dell’Ordine di Palermo a suo tempo guidato da Alessandro Maria Calì, il quale è stato prima sfiduciato e ha poi perso le elezioni per il rinnovo del vertici dell’Ordine. Calì si prepara a raccontare le sue vicissitudini al vertice dell’Ordine e in particolare dopo aver deciso il provvedimento di sospensione di Aiello, in un volume che dovrebbe approdare in libreria in autunno. Una definizione delle regole, che sia condivisa da tutti, sarebbe anche utile per gli Ordini e consentirebbe loro di prendere decisioni senza margine di ambiguità. Recentemente, per esempio, protagonista di una polemica è stato Enrico Sanseverino, presidente dell’Ordine degli avvocati il cui consiglio si ricorderà ha sospeso il tributarista Sergio Lapis, condannato nel processo relativo al patrimonio di don Vito Ciancimino. Al processo contro il senatore Cuffaro, medico e imputato di concorso esterno in associazione mafiosa (ma già condannato a 7 anni per favoreggiamento alla mafia in altro processo) il pm Nino Di Matteo ha ricordato la vicenda dell’avvocato ed ex consigliere provinciale di Forza Italia Salvo Priola, il quale fu intercettato a casa del boss di Brancaccio, il medico Giuseppe Guttadauro, mentre chiedeva al capomafia di ”sponsorizzare” la sua candidatura nell’allora Cdu, per le elezioni regionali del 2001. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Palermo non ha preso alcun provvedimento disciplinare nei confronti di Priola, come chiesto dalla Procura. «Non ci è risultato materiale per un provvedimento disciplinare – ha spiegato Sanseverino – non abbiamo individuato violazioni del collega al codice deontologico». La richiesta della Procura è stata archiviata e Priola è presidente della Camera penale Conca d’Oro di Termini Imerese.
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