Ottobre 24, 2024

PALERMO – Più di cento udienze, cinque anni di dibattimento, oltre novanta testi tra accusa e difesa. Ecco i numeri del processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro  Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nel 1995. Domani mattina, dopo una breve replica della difesa dei due imputati, i giudici del Tribunale si ritireranno in Camera di consiglio per deliberare.  Dovranno decidere se accogliere la richiesta dell’accusa,  rappresentata dai pm Antonino Di Matteo, Francesco del Bene e Roberto Tartaglia, di condannare Mori a nove anni di carcere e Obinu a sei  anni e mezzo di carcere, oppure se accogliere la richiesta di assoluzione dei difensori, Enzo Musco e Basilio Milio, perché  “il fatto non sussiste”.


Un processo che nel frattempo si è trasformato in un  pre-processo per la trattativa tra Stato e mafia, che vede alla sbarra uno die due imputati, il generale Mario Mori per attentato a  corpo politico dello Stato.  “In questo processo, durato quasi cinque anni, è emersa la più complessa storia dei rapporti tra lo Stato e la mafia tra gli anni Ottanta e Novanta”, aveva esordito nella sua requisitoria il pm Antonino Di Matteo. “Una storia cui una parte delle istituzioni, per un’inconfessabile ragione di Stato, ha cercato e  ottenuto il dialogo con l’organizzazione mafiosa nel convincimento che quel dialogo fosse utile a fermare le manifestazioni piu’ violente della criminalità e a ristabilire l’ordine pubblico. Questo è un processo drammatico in cui lo Stato processa se stesso”.
Secondo l’accusa, i due avrebbero favorito la latitanza del boss Bernardo Provenzano, poi arrestato nel 2006 vicino Corleone. “Non sosteniamo che Mori e Obinu abbiano dialogato con la mafia perche’ gia’ collusi – aveva detto Di Matteo – Mori, e per effetto il suo sottoposto colonnello Obinu, obbedendo a indirizzi di politica criminale per contrastare la deriva stragista, ha ritenuto di trovare un rimedio nell’assecondare la prevalenza dell’ala moderata della mafia, quella refrattaria alla strategia di contrapposizione frontale allo Stato realizzata con omicidi eccellenti ed eclatanti. Era necessario per questo garantire la latitanza a Provenzano”.
(AdnKronos)


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