“Abbiamo creduto che dietro la porta dei nostri uffici ci sarebbe stata la fila di imprenditori. Così non è stato, tuttavia è un fatto che in Sicilia negli ultimi due anni sia in corso un cambiamento profondo di cui questa nuova classe imprenditoriale si è resa protagonista, dopo la presa di posizione dell’allora presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo”. Roberta Buzzolani è un magistrato della direzione distrettuale antimafia della Procura di Palermo, dal suo ufficio al secondo piano del Palazzo di Giustizia ha coordinato diverse indagine contro la criminalità.
Tra le ultime l’operazione Perseo dello scorso dicembre: cento uomini delle cosche arrestati in una sola notte. Decine e decine di indagini la gran parte contro il racket delle estorsioni. La sua è una delle diverse voci dello Stato che a Trento ha raccontato l’altra parte d’Italia, quella che ogni giorno cerca il riscatto dalla criminalità organizzata. L’occasione un confronto sull’esperienza di quelle imprese siciliane che hanno deciso di rigettare il pizzo e di denunciare. “Questo perché – ha spiegato Alessandro Laterza, presidente di Confindustria Bari – quanto accade in Sicilia e in parte in Calabria o nelle altre regione meridionale non riguarda solo il Mezzogiorno, ma l’Italia e l’Europa. La capacità della criminalità è tale che i flussi di denaro movimenti non si fermano ai confini regionali ma sono nettamente più pervasivi e inquinanti di mercato sovranazionali”.
E così è importante guardare a quella esperienza, anche alle molteplici zone d’ombra che ancora persistono (“denunciano soprattutto ancora i piccoli le grandi aziende hanno più difficoltà”, dice Buzzolani), per capire come ancora una volta la Sicilia si confermi laboratorio degli equilibri nazionali. Compreso il rapporto con la politica in un momento in cui “Cosa Nostra è in difficoltà ma pur sempre vitale”, dice Buzzolani. Impresa, politica, criminalità: un triangolo che in passato ha visto i rapporti di forza spostarsi ora su un punto ora su un altro e che ora appare meno comprensibile. Quale sia attualmente la parte vincente è difficile da capire. Di certo non la criminalità, che almeno in Sicilia ha visto ridimensionarsi il suo potere contrattuale. Forse la politica o forse l’impresa che tuttavia non deve lasciarsi sfuggire l’occasione. Per farlo deve eliminare le troppe ambiguità che ancora ci sono. “La tentazione di proseguire nel solco di una logica di spartizione ad esempio quando si tratta di gestire in finanziamenti per le aree industriali è ancora forte”, dice Nino Amadore (autore con Serena Uccello del libro “L’isola civile. Le aziende siciliane contro la mafia). Anche perché c’è una parte della società che resta silente: il mondo delle professioni ad esempio. Cerniera questa fondamentale per mettere alla mafia di sfruttare le potenzialità dei nuovi business: è accaduto in passato con la sanità privata, accade ora che le energie rinnovabile e con lo smaltimento dei rifiuti.
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