«La reazione alla ‘ndrangheta richiede un lavoro di squadra». A dirlo è stato il
procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, nel corso del confronto svoltosi nella sede del Museo della ‘ndrangheta in occasione della resentazione del libro di Nino Amadore, «La Calabria sottosopra». All’incontro ha partecipato anche il neo-commissario di Confindustria provinciale di Reggio Filippo Callipo, ex presidente della Confindustria regionale. «E questo – ha proseguito Pignatone – deve avvenire sia come rappresentanti di diverse categorie sociali, sia come persone per bene. Serve una risposta unitaria, come unitaria è l’organizzazione che si è data la ‘ndrangheta sul territorio.
È ovvio che la prima responsabilità nel contrasto al fenomeno è della magistratura e delle forze dell’ordine ma una cosa è essere con la società civile, un’altra è essere da soli in prima fila. Non basta essere tifosi. Il secondo passaggio è quello di persuaderci che la ‘ndrangheta è un vero problema. E non parlo della ‘ndrangheta col fucile, ma di quella della collusione con la società in tutte le sue espressioni. Solo così potremo fare passi avanti di giustizia, di progresso economico e culturale».
In apertura di dibattito Pignatone, in merito alla necessità di una maggiore collaborazione delle associazioni di categoria verso commercianti ed imprenditori che denunciano il racket, ha lanciato quella che ha definito «una provocazione molto amichevole» nei confronti di Callipo. «È strategico il ruolo degli imprenditori – ha detto Pignatone – come strategico è quello della pubblica informazione». Callipo, dal canto suo, ha parlato di solitudine degli imprenditori. «Continueremo – ha detto Callipo – a fare il nostro lavoro. Sono convinto che se noi imprenditori affrontiamo insieme la questione siamo in grado di vincere. Non possono ammazzarci tutti». Callipo ha anche detto di non avere condiviso le espulsioni decise dei vertici di Confindustria Sicilia degli imprenditori che accettavano di pagare il pizzo. «Io non ho cacciato nessuno – ha detto Callipo – ma l’ho accompagnato dal Questore della mia città a denunciare. Perché l’espulsione, in questo caso, vuol dire buttare un imprenditore nelle braccia della ‘ndrangheta».
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