Questa è una sintesi della conversazione con Giuseppe Pignatone pubblicata nel volume di Limes 10/13 “Il circuito delle mafie”.
Esiste la mafia a Roma?
La risposta a questa domanda è meno immediata e semplice di quanto si possa pensare. Bisogna innanzitutto considerare l’estrema complessità della realtà romana, anche dal punto di vista della procura della Repubblica. Mentre a Palermo, a Reggio Calabria o (con le dovute differenze) a Napoli il problema principale è l’associazione di tipo mafioso, a Roma i fenomeni criminali di maggior rilievo sono molto più variegati.
A Roma c’è la corruzione della pubblica amministrazione, c’è la criminalità economica (fallimenti che sfociano in bancarotte fraudolente, grande evasione fiscale e altre frodi a danno dello Stato) per importi di miliardi di euro, c’è un problema tipicamente «romano» e di poche altre città come l’eversione, il terrorismo e la criminalità politica, c’è un problema di gravi reati in materia ambientale. Poi c’è l’ingente fenomeno del narcotraffico: con i suoi tre milioni di abitanti, Roma è un grande mercato delle droghe ma è anche uno snodo: l’aeroporto di Fiumicino e il porto di Civitavecchia sono punti di ingresso consolidati per stupefacenti che verranno venduti e consumati sia in città che altrove. E, naturalmente, c’è la criminalità diffusa che spesso è quella che più immediatamente preoccupa i cittadini.
Storicamente, le mafie sono state attive nella capitale. Basti pensare a Pippo Calò che per un lungo periodo ha risieduto a Roma, dove aveva intensi rapporti con la banda della Magliana e con l’eversione di destra. O a Vincenzo Casillo, braccio destro di Raffaele Cutolo, capo della nuova camorra organizzata, assassinato proprio a Roma. O ai molti latitanti arrestati nel corso degli anni. Poi c’è stata, per quasi un ventennio, la presenza ingombrante della banda della Magliana […].
La complessità di Roma si riverbera anche sul fenomeno della criminalità mafiosa, che qui intendiamo in senso stretto, ossia con riferimento alle organizzazioni che abbiano le caratteristiche previste dal 416bis.
La domanda quindi andrebbe sdoppiata: a Roma sono presenti le mafie «tradizionali» (Cosa Nostra, camorra, ’ndrangheta e Sacra corona unita) e ci sono anche fenomeni mafiosi autoctoni?
Partiamo dalle mafie «tradizionali»
Finora, la risposta che si è data, anche a livello istituzionale, è che non ci sono a Roma organizzazioni mafiose strutturate, ma grossi investimenti riconducibili a soggetti di origine campana, siciliana o calabrese che possono destare sospetti di riciclaggio. Al momento abbiamo solo elementi indiziari, visto che i processi sono in corso e partiamo dalla presunzione di non colpevolezza. Per esempio nel 2009 la procura di Reggio Calabria ha ottenuto il sequestro del famoso Café de Paris e di altri locali di lusso riconducibili alla ’ndrangheta. Anche le procure di Napoli e Catanzaro, oltre a quella di Roma, hanno ottenuto il sequestro di beni immobili, locali commerciali e attività imprenditoriali per un valore complessivo di alcuni miliardi di euro.
A livello non giudiziario ma empirico constatiamo che esiste una platea molto ampia di negozi e attività commerciali la cui proprietà è cambiata in tempi molto stretti. Questi negozi vengono acquistati da soggetti di origine meridionale che altrettanto rapidamente procedono spesso a sostituire il personale e i fornitori con persone provenienti dalle loro stesse regioni. C’è il sospetto che in alcuni casi i nuovi proprietari e i loro dipendenti siano persone affiliate a clan camorristici, della ’ndrangheta o di Cosa Nostra. Ma servono indagini, spesso non semplici, per trasformare i sospetti in prove.
Quanto alle mafie autoctone?
Ultimamente abbiamo fatto un passo avanti: ferma restando la presunzione di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio, a luglio abbiamo eseguito una misura cautelare nei confronti di una cinquantina di persone, una parte delle quali indagata anche per il reato di associazione mafiosa. Secondo noi ci sono due organizzazioni mafiose operative nella zona di Ostia, che pur essendo solo un municipio di Roma conta oltre 200 mila abitanti (Reggio Calabria ne conta 180 mila).
Una fa capo al gruppo Cuntrera-Caruana, uno dei più importanti di Cosa Nostra, per legami storici e di parentela. L’altra fa capo alla famiglia Fasciani e rappresenta qualcosa di nuovo: è un’associazione autoctona, completamente sganciata dalle mafie tradizionali, che ha affermato il suo controllo del territorio, creando un clima di diffusa intimidazione e operando in particolare nel settore commerciale e nel traffico di stupefacenti.
Che rapporto c’è tra la mafia e la società civile romana?
Mentre in molte realtà del Sud è impossibile non notare la presenza della mafia, a Roma è diverso: la presenza della criminalità mafiosa è tutta da capire e da verificare, senza posizioni pregiudiziali in un senso o nell’altro. A Roma alcuni settori della società sono consapevoli dell’esistenza e dell’importanza del problema. C’è però il rischio che di fronte a grandi disponibilità di denaro liquido, specie in tempo di crisi, si abbassino le difese immunitarie –anche perché, come abbiamo detto, il ricorso alla violenza fisica è solo l’extrema ratio e solo di rado c’è bisogno di usarla.
Chi entra in contatto con i gruppi mafiosi agisce molto spesso in base a precisi calcoli di convenienza. Alcune figure possono fare da cerniera tra i due mondi. Un’impresa mafiosa, un grande evasore, un soggetto della pubblica amministrazione che abbia accumulato capitali con la corruzione hanno bisogno degli stessi professionisti o intermediari per potere occultare, riciclare e utilizzare al meglio ingenti somme di denaro. Proprio tali figure possono mettere in contatto l’universo mafioso con il resto della società.
Anche per questo la procura di Roma richiede sempre più spesso, e vi sono già decisioni positive del tribunale, il sequestro e la confisca dei beni anche nei confronti dei «colletti bianchi», di chi cioè ha accumulato ingenti patrimoni grazie a delitti contro l’economia e la pubblica amministrazione.
E con la politica?
Allo stato non sono emersi dalle indagini concluse di recente qui a Roma (parlo solo della mia esperienza diretta, che si riferisce agli ultimi due anni) intrecci tra le organizzazioni mafiose ed esponenti politici. C’è qualche contatto, appena accennato,
con funzionari –più che politici –dell’amministrazione locale. Alcuni fatti specifici sono stati accertati in anni precedenti. Certo è che il coinvolgimento del mondo delle professioni e della politica nei rapporti con la mafia è un fenomeno antico quanto la mafia stessa.Se la mafia si presenta con il volto pulito e la valigetta piena di soldi le è più facile farsi strada. Per questo la guardia deve essere sempre alta, anche a Roma.
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