Estorsioni, usura e appalti pubblici rendono alla ‘ndrangheta un business da 5,4 mld di euro. È quanto emerge dal sesto rapporto sulla congiuntura economica realizzato da BCC Mediocrati – Demoskopika. L’indagine BCC Mediocrati-Demoskopika – spiega una nota – intende rappresentare qual è il ‘sentiment’ prevalente degli imprenditori rispetto alla presenza della criminalità e quanto questa influisca sullo svolgimento della loro sempre più lucrosa attività economica.
L’aggressiva azione intimidatoria della mafia calabrese – secondo lo studio – si manifesta prepotentemente nel mercato criminale delle estorsioni e dell’usura che porta nelle casse delle ‘ndrine circa 3.000 milioni di euro. Una «asfissiante realtà» confermata anche dall’indagine BCC Mediocrati-Demoskopika: oltre un terzo degli imprenditori intervistati (32,6%) ne percepisce una crescente diffusione mentre il 27,2%, preferisce non pronunciarsi. Ciò che occorre comprendere definitivamente – si fa rilevare – è che la ‘ndrangheta non rappresenta un gruppo di entusiasmi imprenditoriali e professionali che agisce per il bene della collettività ma impone la sua quotidiana presenza attraverso l’impoverimento economico del «sistema Calabria». La ‘Ndrangheta non ricerca esclusivamente i profitti derivanti dal business economico per i suoi affiliati ma punta anche ad ostacolare, in ogni modo e con ogni mezzo, il propagarsi di una cultura della denuncia, fondamentale, invece, per far riemerge nella società civile il bisogno di certezze, di rassicurazione, un nuovo ordine di valori e di significati. L’incidenza della criminalità organizzata, già notevole di per sè, diviene devastante in una regione caratterizzata da un tessuto produttivo estremamente debole e da sempre dipendente dalla politica degli incentivi statali e dalla gestione dei flussi di finanziamento pubblico. Sul versante degli appalti pubblici il fatturato dei gruppi criminali calabresi è pari a 2.400 milioni di euro che mette in evidenza una presenza dominante delle ‘ndrine negli appalti, nei subappalti, negli affidamenti e nelle forniture di servizi e beni. Basti citare i lavori di ammodernamento del tratto calabrese dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria che ha visto la malavita locale procurarsi la complicità dei direttori dei cantieri appaltati e la collusione con funzionari in relazione alle autorizzazioni di subappalti e alle varianti in corso d’opera. Un imprenditore intervistato su quattro, precisamente il 27,4%, dichiara di non sentirsi assolutamente al sicuro in considerazione dell’elevata diffusione delle attività criminali nel contesto in cui opera. “Se a questi – continua lo studio – aggiungiamo il 50% di quanti sentendosi abbastanza sicuri fanno comunque rilevare che le attività criminali sono evidenti pur se piuttosto rare, si arriva ad un totale di 76,5% persone che non si sente completamente al sicuro. Solo per il 15,3% del campione, l’area territoriale in cui opera risulta molto sicura lasciando sottendere di non avere mai sentito parlare di attacchi criminali contro le imprese. Al solito, le spiegazioni capaci di dar conto di questa rappresentazione della realtà sono molto articolate e mai banali. A livello settoriale, il senso di insicurezza risulta molto diffuso soprattutto tra gli imprenditori agricoli (38,5%) e tra quelli del settore edile (33,3%), e in misura minore tra le attività dei servizi (17,4%). Per quasi l’80% degli intervistati, infine, le aziende sono vittime di vessazioni, imposizioni o di reati di vario tipo. Furti (38,8%) danneggiamenti (15,9%) ed estorsioni (8,4%) sono i reati di cui si sente maggiormente parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati denuncia forme nuove di controllo della criminalità sul sistema delle imprese. L’indagine ha tentato di porre in evidenza e di stimare quanto la presenza della criminalità sia in grado di frenare la crescita del sistema economico ed imprenditoriale.
Dalle valutazioni espresse dagli intervistati emerge un dato alquanto rilevante se si considera che ben un imprenditore su quattro, esattamente il 25,8%, dichiara che il fatturato della propria azienda sarebbe maggiore se potesse svolgere la propria attività in un contesto territoriale più sicuro e libero; di questi il 6% calcola che potrebbe aumentare del 5%, l’8,3% ritiene che ci potrebbe essere un incremento almeno del 10%, mentre l’11,5% del campione stima che la crescita potrebbe essere addirittura del 20% e oltre rispetto ai valori attuali. Il 52,5% del campione intervistato, infine, fa sapere che la criminalità non costituisce una reale e grave causa ostativa alla crescita del proprio giro di affari a cui si aggiunge il 21,5% di chi preferisce non rispondere o non di non sapere o volere fornire alcuna stima o valutazione. Ma qual è la soglia di accettazione del fenomeno? La situazione – si legge nel rapporto – è davvero così grave tale da scoraggiare gli imprenditori al punto da decidere di trasferire la loro azienda altrove in contesti più sicuri o addirittura di chiuderla? Il dato questa volta è positivo: la quasi totalità, dei soggetti intervistati (84,4%) non sembra intimidita mostrando fermezza e volontà di non arrendersi e continuare a lavorare nella loro terra di origine, non considerando, dunque, nemmeno lontanamente l’idea di trasferire o chiudere la propria attività.
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