di Nino Amadore
C’è un appuntamento cui oggi non si possono sottrarre gli ordini professionali in Sicilia. In particolare l’Ordine dei medici di Agrigento e l’Ordine dei medici di Palermo. Ora che la cassazione ha confermato la condanna a sette anni per Totò Cuffaro, medico radiologo, e per gli altri (Carcione per esempio) ribadendo anche le responsabilità nei rapporti tra l’ex governatore siciliano e la mafia (con i contatti con il medico Giuseppe Guttadauro mediati dal medico Domenico Miceli), appare urgente una pronuncia da parte degli organismi dei rispettivi ordini professionali per coloro che ancora in quegli ordini risultano iscritti. Perché ora ci si aspetta la svolta soprattutto dalla borghesia siciliana, quella delle professioni, quella che ha avuto vantaggi dal cuffarismo e ha contribuito a costruire quel sistema clientelare (e mafioso) che la sentenza della Cassazione ha sperabilmente spazzato via per vsempre. Ma ora è il momento dell’autocritica e dei provvedimenti disciplinari perché è anche così che si costruisce una nuova classe dirigente. Recentemente in un’intervista il procuratore di Agrigento Renato Di Natale ha dichiarato che sono aumentate le ipotesi incriminatorie nei confronti di colletti bianchi e amministratori arifgentini: non c’è mafia ma il limite si sa è molto labile. Allora se c’è un giudice a Palermo e ce n’è un altro a Roma occorre che ci siano giudici severi anche nel corpo della società, in quegli organismi intermedi che rivendicano con forza autonomia ma che poi non sono in grado di dimostrare di essere capaci di far valere questa autonomia soprattutto quando si tratta di “processare” i propri iscritti.
Parte ancora una volta dalla Sicilia una sfida difficile per gli ordini professionali: dimostrare che è possibile fare pulizia. La radiazione di Cuffaro e degli altri professionisti è un segnale che tutti si aspettano.
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