«Il 20 giugno del 1989 mio figlio, il giorno in cui furono piazzati i candelotti di dinamite per il fallito attentato all'Addaura al giudice Giovanni Falcone, si è trovato in un posto nel quale non si doveva trovare. È una colpa questa?». È quanto si chiede, a margine della conferenza stampa del Comitato Addiopizzo «Desiderio di verità» tenutasi a Palermo, Vincenzo Agostino, padre del poliziotto Nino, ucciso a Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio.
L'associazione sostiene l'iniziativa del gruppo '19 luglio 1992' che ha lanciato una petizione on line per chiedere di rimuovere il segreto di Stato – definito 'sigillo della vergognà – sulla morte di Nino Agostino. «Per quale motivo il giudice Falcone – aggiunge Vincenzo Agostino – è venuto al funerale di mio figlio e ha detto 'Gli devo la vità? Perchè hanno dichiarato Nino 'vittimà della mafia senza che vi fosse alcun processo. Lo Stato pensa di darci così uno zuccherino? A distanza di 22 anni non abbiamo avuto
quella verità e giustizia che tante volte abbiamo invocato».
«Per questo chiediamo ai cittadini e ai giovani di portare avanti una battaglia contro le mele marce dello Stato, – dice – perchè sciolgano questa matassa intricata di misteri. Oggi per noi è un giorno di festa, perchè speriamo nella lotta dei giovani che non barattano i propri diritti dei favori e chiederanno giustizia per quando noi non ci saremo più».Agostino dal giorno dell'omicidio non ha più tagliato barba e capelli e ha deciso di non farlo fino a quando non sarebbe arrivata la verità sulle cause dell'uccisione del figlio. Per l'occasione è stata realizzata una vignetta dove lui è con e senza barba e, in mezzo, lo slogan 'Agostino e Addiopizzo – un taglio ai segreti di Statò. «Quando hanno sparato a mio figlio Nino la moglie Ida era ancora viva, l'ho vista trascinarsi a quattro zampe dopo la sparatoria per stare accanto al marito fino all'ultimo», racconta con le lacrime agli occhi Augusta, madre del poliziotto assassinato.
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