Dodici società, 220 fabbricati tra palazzine e ville, 133 appezzamenti di terreno per 60 ettari e persino uno yatch di 25 metri per un totale di 700 milioni. È il bilancio del sequestro di beni eseguito dagli uomini della Direzione investigativa antimafia di Palermo guidati da Rodolfo Passaro nei confronti di Giuseppe Grigoli, imprenditore di Castelvetrano in provincia di Trapani ritenuto prestanome del boss trapanese latitante Matteo Messina Denaro e capo di una holding del settore della Grande distribuzione organizzata con le società Grigoli distribuzione e Gruppo 6 Gdo detentrici del marchio Despar nella Sicilia Occidentale.
Il sequestro sulla base della decisione della sezione per le misure di prevenzione del tribunale di Trapani guidata da Antonio Cavasino che ha accolto la richiesta del direttore della direzione investigativa antimafia Antonio Girone il quale ha annunciato la costituzione di una task force finalizzata ad «aggredire i patrimoni illeciti» ha detto. La misura arriva a quasi dieci mesi di distanza da un precedente provvedimento nei confronti di Grigoli cui erano stati sequestrati beni per 300 milioni comunque contabilizzati nel provvedimento eseguito ora, che attualmente si trova in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Il nuovo provvedimento è stato reso possibile anche dalle nuove norme in materia di prevenzione introdotte nel cosiddetto decreto sicurezza e ha coinvolto anche i beni mobili e immobili intestati ai familiari di Grigoli tra cui la moglie Maria Fasulo e le figlie Francesca e Cecilia. Gli investigatori hanno ricostruito nel dettaglio l’impero economico di cui Grigoli era intestatario in nome e per conto di Matteo Messina Denaro a cui, secondo gli investigatori, non era legato solo da vincoli di parentela ma soprattutto di affari. E ciò sarebbe avvenuto a partire dal 1974 anno in cui i coniugi Grigoli avevano un reddito netto di 3.372.000 lire mentre nel 2001 sarebbero arrivati a 1.419.240.000 euro (oltre 600 milioni il reddito di Grigoli, oltre 818 milioni quello della moglie) che poi sarebbe sceso per arrivare nel 2006 a un totale di 724,9 mila euro.
Una ricchezza accumulata, ha spiegato il procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato, grazie a un sostanziale oligopolio nel settore della grande distribuzione. Un fatto provato anche da un “pizzino” ritrovato nel covo di Bernardo Provenzano a Montagna dei Cavalli nel territorio di Corleone, dove il boss è stato arrestato: in quel documento Matteo Messina Denaro chiedeva a Binnu u tratturi di intervenire a tutela di Grigoli in provincia di Agrigento perché si trattava di un uomo a lui vicino ma di Grigoli ha poi parlato anche il pentito agrigentino Maurizio Di Gati.
Per Scarpinato questa operazione dimostra che «il potere economico della mafia si converte in potere sociale e politico in contesti disagiati. Grigoli, conquistando l’oligopolio della distribuzione alimentare, era riuscito a dare lavoro a centinaia di persone vicine a Cosa nostra o raccomandate dalla mafia. Si tratta di uno degli esempi di come Cosa nostra approfitta in modo distorto del bisogno di lavoro di certe aree sociali». Dall’indagine patrimoniale è emerso che Grigoli in diverse province, impiegava nei suoi negozi uomini dei clan.
«L’interesse di Messina Denaro nell’impero economico dell’imprenditore di Castelvetrano – ha aggiunto – è emblematicamente esemplificato dal fatto che il capomafia conosceva alla virgola la contabilità di supermercati di Grigoli in centri dell’agrigentino come Ribera. Questo l’ha scoperto la Dia attraverso un lavoro certosino di esame delle fatture che ha riscontrato una serie di pizzini trovati nel covo del capomafia Bernardo Provenzano».
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