«L’inchiesta ci ha dato un quadro aggiornato sullo stato attuale di Cosa nostra. Non vedo segnali
di caduta libera. L’ultima operazione è di straordinaria importanza, ma la partita è ancora lunga. Alla fine, però, vincerà lo Stato». Lo afferma il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, in un’intervista, commentando l’operazione «Perseo» che ha stroncato il tentativo della mafia di
rifondarsi, azzerando la nuova cupola. Il capo della mafia, aggiunge, «era e rimane Totò Riina, a meno che non decida lui stesso di passare lo scettro. Senza il suo avallo non si può procedere alla ricostituzione della commissione provinciale, l’organismo decisionale di Cosa nostra. Provenzano, invece, anche durante la sua latitanza, era un reggente molto autorevole, ma non il capo dell’organizzazione». Per quanto riguarda il superlatitante boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, che ha avuto «un ruolo di spicco in questa vicenda», non è destinato a occupare il ruolo di capo della commissione provinciale di Palermo, «ma per i palermitani resta un punto di riferimento, cercato per consulti e consigli». Dalle intercettazioni non si sente mai parlare del boss di Altofonte Domenico Raccuglia, imprendibile da 12 anni, mentre si parla spesso del giovane in ascesa Giovanni Nicchi, «u picciutteddu», nuovo reggente del mandamento di Pagliarelli: «Le capacità non si improvvisano – conclude Messineo – e lui è molto giovane. L’inchiesta dimostra che la mafia è ancora legata alle tradizioni e cerca di recuperare boss anziani o comunque in età matura, ma Nicchi rispetto ad altri ha un vantaggio: finora è libero». [ad#co-11]
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