di Nino Amadore
Uno stillicidio permanente cui corrisponde un silenzio che definire assordante, secondo la ben nota frase fatta, è il minimo. Prima è stato arrestato l’architetto Giuseppe Liga, leader del Movimento cristiano lavoratori, professionista affermato ritenuto il successore di Salvatore Lo Piccolo al vertice della cosca di San Lorenzo-Tommaso Natale, l’altro ieri è stato il turno di Vincenzo Rizzacasa, altro architetto esponente della borghesia professionale palermitana e buoni agganci nella cosiddetta buona società cittadina, la cui azienda (la Aedilia Venusta, impresa che ha fatto lavori per conto del Gruppo Venti di cui è presidente Ettore Artioli già al vertice di Confindustria nazionale che ne ha disposto l’interruzione di ogni rapporto quando sono emerse le accuse di mafia) era stata espulsa da Confindustria Palermo che ne ha ribadito il provvedimento di fronte a un discutibile provvedimento giudiziario. Insieme a Rizzacasa è stato arrestato l’ingegnere Francesco Lena, titolare dell’azienda vitivinicola Abbazia sant’Anastasia di Castelbuono, che sarebbe stato capace di “non restituire” un miliardo di lire al boss Nino Madonia e che avrebbe goduto della protezione del suo, dicono gli inquirenti, socio Salvatore Lo Piccolo e addirittura di Bernardo Provenzano di cui sarebbe stato anche la faccia pulita e presentabile in un settore ad alto potenziale economico come quello del vino.
Il fratello di Lena, Aldo, architetto, già in passato sarebbe finito nel mirino degli inquirenti per i suoi contatti con le cosche palermitane. Dall’ultima operazione antimafia che ha colpito i rappresentanti economici di Cosa nostra emerge poi un livello di pressione da parte dei mafiosi su ben avviati studi professionali palermitani con l’obiettivo di ottenere informazioni delicate su progetti importanti e potersi organizzare per tempo. Non è cosa da poco: non risulta che siano arrivate denunce da parte dei professionisti all’autorità giudiziaria. Insomma quello che sembra chiaro, in questo momento, è una persistente forza della cosiddetta zona grigia, un timore reverenziale da parte dei professionisti che non si decidono a denunciare le minacce dei mafiosi, una sostanziale ipocrisia della borghesia del capoluogo siciliano che continua ad accettare il collateralismo mafioso come un fatto naturale e inevitabile. Sta lì a dimostrarlo il silenzio in cui è caduta la conferma da parte del Consiglio nazionale degli ingegneri della “radiazione” dall’Ordine dell’ingegnere Michele Aiello, condannato a 14 anni per mafia anche in appello, ritenuto prestanome di Bernardo Provenzano.
L’arresto di ingegneri, architetti, avvocati dimostra poi quanta e quale sia la capacità della mafia di ristrutturarsi trovando nuovi complici e nuove forme di collaborazione con le classi professionali. Gli Ordini, invece, al di là degli atti dovuti non sembrano avere molto interesse per il doveri deontologici dei loro iscritti. E persino i convegni, che potevano avere un significato simbolico, non vengono più fatti: come è accaduto all’Ordine degli architetti dove non si ha notizia dell’annuale convegno in ricordo di Giovanni Falcone e dedicato all’etica nella professione di architetto.
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