Nella lotta alla criminalità organizzata, la cooperazione tra Italia e Germania potrebbe essere molto più efficace se l'Italia recepisse le direttive Ue in materia di confisca dei beni e se la Germania riconoscesse il reato di associazione mafiosa e permettesse il sequestro di beni di soggetti indiziati.
È quanto emerso oggi, a Berlino, in un dibattito tra il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e il direttore della polizia criminale della capitale tedesca, Bernd Finger, invitati dall'Onorevole Laura Garavini (Pd) alla presentazione
della 4.a Festa italiana della legalità nell'ambito dell'iniziativa 'Mafia, Nein Danke!' della stessa Garavini, membro della commissione antimafia. «L'arresto di sei persone legate alla 'Ndrangheta in Germania, a Singen (sud) e Francoforte (ovest), a marzo, è stato possibile grazie a intercettazioni fatte da Reggio Calabria», ha chiarito con un esempio il procuratore Grasso, ricordando come la legge tedesca sia più rigida in tema di intercettazioni e di sequestri, per cui è richiesta una
condanna definitiva.
C'è una cosa, però, in cui la Germania si trova avanti rispetto all'Italia, ha fatto notare Finger: la ratifica della legge quadro europea 783/2006, che consente l'esecuzione di sentenze emesse in un Paese europeo anche negli altri Stati
membri. Ma il Parlamento italiano non ha ancora approvato la direttiva, ha criticato Garavini, nemmeno dopo essersi impegnato a farlo con la legge comunitaria 2010: «L'Italia è la causa per cui non possono essere confiscati beni in Germania», ha detto. «Il nostro Paese impedisce a livello internazionale la
lotta alla criminalità organizzata – ha spiegato politica del Pd -, e rinuncia a miliardi preziosi»: la legge prevede che «metà dei beni sequestrati andrebbero al Paese che ha emesso l'ordine». «La cosa migliore che l'Unione europea potrebbe fare in termini di armonizzazione legislativa sarebbe la previsione in tutti i codici penali del reato di associazione mafiosa», ha poi aggiunto Tano Grasso, presidente della Federazione delle associazioni antiracket italiane (Fai), invitato all'evento. Un tema però ostico a causa delle «differenze culturali», ha spiegato il procuratore Grasso: «I giudici tedeschi fanno fatica a capire che l'associazione in sè è il reato, perchè produce l'inquinamento di una società».
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