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L’intervista a Nino Amadore, autore del libro La zona grigia

Medici che curano boss latitanti. Tecnici che elaborano progetti di speculazioni edilizie. Operatori finanziari che mettono a punto metodi di riciclaggio del denaro sporco. È dentro questo lato oscuro delle professioni che il giornalista siciliano Nino Amadore, redattore de Il Sole 24 Ore, ha scavato nella sua inchiesta “La zona grigia. Professionisti al servizio della mafia”. Il libro, edito da Lulu, è disponibile sia in formato elettronico, sia in versione cartacea (http://www.lulu.com). “Anche questa una scommessa”, sostiene l’autore.

C’era bisogno di un altro libro sulla mafia?

“Mi sembra che l’estesa letteratura dei mafiologi abbia trascurato di indagare l’aspetto più controverso del sistema criminale, quello che coinvolge i professionisti. Ci sono tantissime indagini della magistratura, ma non esiste un macro dato qualitativo su quanti professionisti siano stati coinvolti in inchieste di mafia. Ciò rende tutto molto generico: si dà per assodato che la zona grigia esiste e si è portati a pensare che solo gli imprenditori facciano parte di questa zona grigia. Ma l’impresa senza il supporto dei professionisti, in un sistema come il nostro, non può reggere”.

Come possono intervenire gli Ordini professionali?

“Credo che ci siano delle questioni prepolitiche e pregiuridiche, che fanno parte dell’etica e della coscienza. Gli Ordini non sono sindacati e sono parte importante della struttura sociale di questo Paese. Finché ci sono, a prescindere dalla rilevanza penale di un atto, devono appunto mettere ordine: indicare regole, prendere pubblicamente posizione, schierarsi”.

Medici, avvocati… se n’è parlato tanto per taluni legami molto evidenti. Ma poi ci sono le “nuove professioni”: che ruolo svolgono per la mafia?

“Ci sono professioni che non hanno un ordine ma che invece hanno un ruolo importante: gli operatori finanziari, per esempio. Ed è inutile dire quale ruolo possano avere: quello di reinvestire il denaro proveniente dalle estorsioni, dalla droga”

Se quella zona resta ancora così grigia, di chi è la responsabilità?

“Il problema, e io lo dico con chiarezza, riguarda le istituzioni: le commissioni antimafia regionali, per esempio, improduttive e inutili potrebbero rendersi utili occupandosi di queste cose. Lo potrebbero fare coordinandosi con la commissione nazionale Antimafia. In fondo si tratta di scavare nel tessuto sociale, di conoscere la reale portata di un fenomeno di cui tutti parlano. Sia chiaro che io non mi voglio sostituire ai giudici. Io pongo un problema e cerco di dare delle risposte. Sarebbe utile che si avviasse un dibattito: gli imprenditori lo hanno fatto. Lo facciano anche i professionisti”.

Quanto le è servita, nella raccolta delle fonti, la sua esperienza di giornalista?

“Il linguaggio e la tecnica sono quelle dei giornali; il libro è un’inchiesta, il frutto di una ricerca sul campo: le fonti sono spesso quelle della cronaca giudiziaria. Ma il mio non è un saggio: i saggi li scrivono gli accademici”.

ORAZIO VECCHIO

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