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Le mani della ‘ndrangheta sul porto di Gioia Tauro

Ventisei arresti, su ordinanze emesse dal gip distrettuale di Reggio Calabria, su richiesta della Dda, e beni sequestrati per un valore di una quarantina di milioni di euro. E’ questo il bilancio  di un’operazione dei carabinieri denominata “Maestro” contro presunti affiliati alle cosche della ‘ndrangheta Molé e Piromalli, che controllavano importanti attività commerciali nel porto di Gioia Tauro. Per gli arrestati l’accusa é di associazione mafiosa, ma anche di importazione in notevoli quantità di prodotti cinesi che, grazie a società di import-export, riuscivano ad evitare i controlli e quindi i dazi. Le indagini, coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria guidata da Giuseppe Pignatone , hanno portato al  sequestro di numerosi container di merce, spesso contraffatta, per un valore di decine di milioni di euro. Tra le persone arrestate ci sono anche due funzionari della dogana di Gioia Tauro. Le indagini (coordinate dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dai magistrati antimafia Roberto Di Palma e Roberto Pennisi) hanno fatto emergere anche delle operazioni di riciclaggio in strutture immobiliari e attività alberghiere nel lazio.
Le indagini hanno infatti permesso di accertareo che parte dei proventi delle attività illecite era reimpiegata in un’imponente struttura immobiliare ubicata a Monte Porzio Catone (Rm), composta da un lussuoso complesso alberghiero e da due avviati ristoranti, acquisiti dalle cosche con ripetute intimidazioni nei confronti dei precedenti gestori e del proprietario, costretti a cedere l’attività per compensare i debiti maturati con il sodalizio.
La struttura ricettiva è stata sottoposta a sequestro preventivo  dai carabinieri che, all’interno, vi hanno tratto in arresto anche il principale referente imprenditoriale della cosca, Cosimo Virgilio. In particolare sono emersi diversificati interessi della cosca Molè e la capacità di condizionare il tessuto sociale ed imprenditoriale dell’area, prima e dopo l’omicidio del reggente, Rocco Molè. L’eliminazione di quest’ultimo, avvenuta il 1° febbraio 2008, aveva incrinato l’equilibrio mafioso e la pacifica coesistenza con la cosca Piromalli, legata anche da vincoli familiari, scatenando uno scontro per il controllo delle attività economiche e produttive dell’area e determinando nuove alleanza mafiose. L’attività ha infine consentito, la sera dell’11 giugno 2009, dopo l’individuazione di numerosi bunker sottorranei ricavati all’interno di abitazioni, l’arresto del ricercato Girolamo Molè , ricompreso nell’elenco dei latitanti più pericolosi e cugino dell’omonimo capo clan detenuto, che dal carcere continuava a dirigere la cosca, impartendo precise disposizioni agli affiliati sulla gestione degli affari e dei rapporti con gli altri sodalizi.
L’indagine documenta un’inedita operatività transnazionale della criminalità mafiosa e costituisce – secondo gli inquirenti – un’ ulteriore conferma della presenza delle cosche della piana nel porto di Gioia Tauro, fondamentale per la gestione delle rotte dei traffici illeciti e per mantenere una posizione di forza nei rapporti con le altre consorterie criminali. Proprio intensificando i controlli nel porto, in collaborazione dell’agenzia delle dogane, i carabinieri hanno sequestrato centinaia di chilogrammi di cocaina, sostanza che continua a costituire l’iniziale fonte di arricchimento della ndragheta, mentre gli ingenti sequestri di beni mobili ed immobili nella capitale ne confermano la vocazione imprenditoriale e commerciale.
”Il porto di Gioia Tauro ha un interesse strategico per l’economia del nostro Paese e lo Stato incrementerà ogni tipo di controllo per ridurre non solo le attività criminali ma per impedire che l’economia virtuosa possa essere inquinata da attività di riciclaggio”  ha detto il capo della Procura nazionale antimafia Piero Grasso.
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