Si aggrava il capo d’imputazione per l’imprenditore catanese Sebastiano Scuto, considerato il re
dei supermercati in Sicilia. Nell’udienza di oggi il sostituto procuratore generale, Gaetano Siscaro, gli ha contestato che ha finanziato Cosa nostra in maniera continuativa «in cambio di una duratura protezione, riciclando in attività economica ‘legalè ingenti proventi delle attività illecite del clan Laudani e di altri clan alleati». Secondo il pg, Scuto è accusato di aver aperto nuovi centri commerciali con le insegne Despar a Palermo e provincia, «gestiti in comune con il clan di appartenenza dei Laudani e con quelli alleati di Benedetto Santapaola, di Bernardo Provenzano, Sandro e Salvatore Lo Piccolo». Dal nuovo capo di imputazione contestato a Scuto si legge che si è «avvalso della forza di intimidazione e del controllo del territorio da parte dell’organizzazione Laudani al fine di
incrementare la presenza sul mercato dei punti vendita Despar; consentendo la creazione di attività imprenditoriali da parte di esponenti del medesimo sodalizio e garantendo la commercializzazione dei prodotti attraverso la propria rete di vendita; fornendo le videocassette ove erano registrate le fasi di rapine in danno di punti di vendita suoi o di persone a lui collegate al fine di individuarne gli autori per una punizione esemplare; fornendo denaro finalizzato all’acquisto di armi e droga nella consapevolezza del necessario sostentamento dell’organizzazione in guerra con altri gruppi; cambiando assegni corrisposti per la commercializzazione di sostanza stupefacente; richiedendo l’intervento dell’associazione presso gruppi mafiosi allo scopo di chiarire il rapporto di concorrenza
con altri imprenditori ‘protettì ». Scuto è libero ma ha il divieto di accedere alle sue
imprese, che sono in amministrazione giudiziaria. Il sostituto pg, Gaetano Siscaro,
aveva depositato nel processo al re dei supermercati, Sebastiano Scuto, un’attività integrativa d’indagine che riguardava anche l’analisi di alcune intercettazioni. La consulenza, affidata al vice questore Gioacchino Genchi, ha individuato un collegamento fra l’imprenditore catanese con
esponenti di Cosa nostra palermitana, con quelli di Caltanissetta e con la Calabria.
Il pg ha inoltre depositato dichiarazioni, rese nei mesi scorsi ai magistrati catanesi, dei collaboratori di giustizia, Nino Giuffrè, Francesco Campanella, Gaspare Pulizzi, Antonino
Nuccio, Francesco Franzese, quest’ultimi tre facevano parte del clan dei boss mafiosi Lo Piccolo di Palermo. Inoltre, l’accusa ha pure prodotto alcuni «pizzini» sequestrati nel covo del boss Bernardo Provenzano e le lettere trovate a Sandro e Salvatore Lo Piccolo il giorno del loro arresto, che fanno riferimento, in qualche modo, all’imprenditore sotto processo.
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