A volte mi auguro di avere torto. Mi è capitato in questi giorni, in giro per la Calabria: ho sperato tanto di avere torto. Ho cercato di cogliere le novità per ribaltare il mio punto di vista. E invece no: a distanza di mesi dalla pubblicazione questa inchiesta sulla Calabria, su questa regione che sembra in preda a una dannata maledizione, resta drammaticamente attuale. Le analisi, i fatti, le connessioni, la pervasività della zona grigia, l’atteggiamento criminogeno delle classi dirigenti, l’ineffabile ambiguità di certe manifestazioni culturali che inneggiano alla legalità ma esistono per preservare il passato e garantire un futuro senza cambiamenti. La Calabria che stenta a cambiare e ti lascia morire di solitudine, ti emargina, ti respinge bollandoti come straniero, come corpo estraneo che disturba. Lo fa con imprenditori coraggiosi e coerenti come Pippo Callipo invitandolo a lasciare Reggio Calabria dove all’interno di Confindustria sta portando avanti un coraggioso progetto di bonifica culturale e ambientale, isolandolo dove è possibile; lo fa bollando magistrati coraggiosi come Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino e gli altri accusandoli di essere “terribili colonizzatori” e spargendo a piene mani bugie approfittando del venticello della calunnia che si diffonde veloce. La Calabria delle classi dirigenti contaminate pensa di lavarsi la coscienza costituendo qualche associazione antiracket, come avviene a Reggio Calabria dove, racconta Michele Prestipino, “sono tante le asociazioni antiracket ma di denunce non ne arivano”.
La Calabria non solo resta sottosopra ma sembra quasi assuefatta a questo suo essere un mondo capovolto in cui sono subnormali gli onesti mentre i disonesti e i collusi sono da esaltare e ammirare. Una Calabria che ha saputo sperimentare, con una incredibile modernità e grande intuizione criminale, modelli di governance esportati con successo nelle altre regioni italiane (quelle ricche) e in altri paesi del mondo. In questa Calabria alle dichiarazioni di principio non seguono fatti concreti di cambiamento. Non ci sono molti imprenditori che accompagnano altri imprenditori in caserma a denunciare la mafia ma ci sono imprenditori che vengono da fuori che cercano la “messa a posto” con l ‘ndrangheta, non ci sono Ordini professionali che radiano (o sospendono) colleghi che hanno collaborato con gli ‘ndranghetisti e i corrotti. C’è un presidente della regione che invece di lodare l’azione di Pippo Callipo a Reggio Calabria dice che non c’è bisogno di uomini di altre province che fanno le denunce a Reggio e che le andassero a fare nelle loro città. Dimenticando che Callipo di denunce a Vibo ne ha fatte tante e per averle fatte si è beccato più di un avvertimento a colpi di fucile.
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