di Antonello Montante*
Sono giorni importanti per il nostro Paese. Il decreto sulle liberalizzazioni e quello sulla semplificazione possono aprire i mercati e migliorare il funzionamento del sistema produttivo e della pubblica amministrazione. Allo sforzo di migliorare la competitività e tutelare i consumantori sono chiamate tutte le forze politiche e sociali. Si può e si deve discutere sui singoli provvedimenti e su come attuarli al meglio. L’insieme di queste norme, tuttavia, ha un segno positivo e speriamo che rappresenti l’inizio di un riscatto politico in una stagione di crisi globale. Il cambiamento renderà più attrattivo il sistema-Paese nel medio e lungo termine e porterà benefici sia alle imprese che ai cittadini. Va detto però che la sostenibilità del cambiamento rimane un nodo cruciale e irrisolto per i territori del Sud. Cosa vuol dire in concreto sostenibilità? È presto detto: senza legalità non ci saranno liberalizzazioni e semplificazioni efficaci. Il primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, in occasione dell’ apertura dell’anno giudiziario, ha detto con chiarezza che la criminalità organizzata è una presenza minacciosa e invasiva nella società e nel tessuto economico. E nel suo discorso ha elogiato l’impegno di Confindustria Sicilia nella lotta contro la mafia, sottolineando l’importanza dei codici etici che abbiamo adottato e poi con rigore applicato. Ovviamente, questo apprezzamento ci incita ad andare avanti ancora più convinti che la strada intrapresa è quella giusta. Ma non bisogna dimenticare che il ritardo infrastrutturale e il gap economico e industriale, così come la mancanza di liquidità e la povertà delle casse private e pubbliche, potrebbero bloccare o rallentare ulteriormente il Sud, provocando una sorta di disadattamento al cambiamento che allargherebbe ancor più la forbice. La stessa lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione verrebbero spinte un passo indietro.
È un grave rischio che corriamo: se nella messa in opera delle nuove misure del governo ci fosse un ritardo ai danni del Sud, la conseguenza potrebbe essere il blocco delle nuove energie produttive e finanziarie. E questo sarebbe il peggior effetto collaterale per il Mezzogiorno.
Per mettere in circolazione forze positive e risorse economiche è necessaria un presenza, un sopporto attivo dello Stato in termini di garanzie sulla sicurezza e sulla tutela degli operatori sani. Senza questo non si permetterebbe a tutto il Sud di difendere i mercati dai tentativi di distorsione della criminalità e delle eminenze grigie a loro collegate. Eminenze che, come i camaleonti, si mimetizzano dietro i meccanismi che regolano mercati e business.
L’intervento che il governo ha efficacemente realizzato con le liberalizzazioni ha un forte significato politico ed economico. Ma bisogna fare attenzione a non interrompere le incentivazioni allo sviluppo del Sud: il rischio è che ritardi e disfunzioni finiscano per incrementare solo il volume di affari della criminalità organizzata.
Nel mondo economico e finanziario si ha a che fare con meccanismi, dinamiche e strategie fondati principalmente, o quasi totalmente, sui numeri: devono essere obbligatoriamente in salita quelli del Pil e in discesa quelli dello spread negativo dei titoli.
Ma i territori complessi, come il Sud d’Italia, non sempre sopportano questa tensione finanziaria anche perché, purtroppo, non viene riconosciuto il valore dei processi di innovazione nel campo della gestione d’impresa all’insegna di nuovi modelli di legalità e normalità. E questo è particolarmente penalizzante perché seguire con rigore i codici etici può risultare, in qualche circostanza, più problematico al fine di raggiungere guadagni sicuri da parte delle imprese.
Ecco perché lo spread negativo sui fattori di crescita non può comprendere soltanto l’andamento dei titoli di Stato, delle banche o delle assicurazioni. Bisogna cominciare a prendere sul serio l’idea di intervenire sullo spread delle aziende che investono e vivono nei mercati grazie a processi di legalità e a codici anti-corruzione, per non parlare di quelle imprese che si sono messe in prima linea contro la mafia e che oggi meriterebbero formali riconoscimenti imprenditoriali. Voglio dirlo con nettezza: queste imprese hanno diritto ad avere un rating più alto per lo stesso know how acquisito in termini di sperimentazione e applicazione di modelli aziendali improntati a solidi principi etici.
Il riconoscimento concreto da parte dello Stato del rating alto a favore di molte imprese, nel Sud ma non solo, che hanno coraggiosamente portato avanti con impegno un percorso difficile, rimanendo vicine alle istituzioni nella battaglia concreta contro la mafia, è un fattore competitivo che rientra nella concezione del libero mercato e nel giusto calcolo dei costi-benefici economici e sociali per l’intero Paese.
*vicepresidente Confindustria
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