Settembre 20, 2024

«Contro le estorsioni e l’usura, contro le contaminazioni che avvengono nella ‘zona grigià, noi
imprenditori siciliani dobbiamo osare di più, e dobbiamo osare insieme agi ordini professionali. Formuleremo le nostre proposte in un documento». Enzo Taverniti, imprenditore metalmeccanico,
presidente della Confindustria di Ragusa riassume così le conclusioni del convegno «Pizzo: una proposta che si può rifiutare», che si è svolto nel capoluogo ibleo per iniziativa di Giorgio Cappello, presidente provinciale – e da qualche giorno anche regionale – del gruppo dei Giovani Imprenditori.  L’iniziativa si muove nel solco della coraggiosa presa di posizione di Confindustria Siciliana, e del gruppo dirigente riunito intorno al presidente Ivan Lo Bello, che ha deciso di escludere i soci che pagano il pizzo alla mafia. «In realtà – ha spiegato Taverniti – è semplicistico presentare così la
nostra posizione. Noi vogliamo aiutare i nostri soci a resistere alle estorsioni e all’usura. E quando qualcuno paga vogliamo capire se ha ceduto a un ricatto al quale non si sarebbe potuto
sottrarre, insomma se è stato costretto o meno. Bisogna distinguere. Lo stesso problema si presenta per giudicare l’operato e la moralità di avvocati, ingegneri, medici e altri professionisti che vengono coinvolti in affari di mafia. Perciò abbiamo deciso di ‘osarè di avventurarci in qusta ‘zona grigià
insieme agli Ordini professionali».
 Al convegno di Ragusa, oltre al sindaco Nello Di Pasquale, hanno partecipato gli ordini provinciali degli architetti, degli avvocati, dei consulenti del lavoro, dei commercialisti, dei contabili, degli ingegneri, e dei geometri. Tutti hanno riconosciuto il problema di escludere dagli Ordini i
professionisti che entrano consapevolmente in rapporti di scambio con i boss.
La legislazione attuale, hanno detto, consente di sospendere dagli Albi solo chi finisce in
carcere o agli arresti domiciliari e solo durante la detenzione. Il giornalista Nino Amadore, del Sole 24 Ore, autore del libro «La zona grigia», ha ricordato che risultano coinvolti in inchieste di mafia oltre 400 professionisti e ha sollecitato gli Ordini a dotarsi di codici morali e deontologici più rigorosi a
tutela dei professionisti onesti e di dichiarare nei loro statuti una esplicita condanna dei coinvolgimenti mafiosi.  «Per fortuna a Ragusa la parola pizzo evoca più che altro i
ricami delle nonne», ha detto il sindaco Nello Di Pasquale, elogiando Ragusa come modello di società immune da sempre dalla criminalità mafiosa. Purtroppo, ha commentato il presidente della Provincia Franco Antoci, una parte della provincia non è più immune, e si impone un’opera di prevenzione. «Bisogna parlare di quello che già accade, purtroppo, e far capire a  tutti che se non si respingono dall’inizio gli esattori del pizzo, si consente loro di attecchire», ha detto Giuseppe Di Giacomo, deputato del Pd all’ARS. «Proprio in un’azienda della mia famiglia, a Vittoria – ha raccontato – recentemente sono venuti due emissari a chiedere il pizzo. Li abbiamo respinti e denunciati alla polizia. Ci hanno bruciato i locali, ma alla fine abbiamo vinto noi». «È vero che a Ragusa non c’è l’emergenza pizzo come in  altre città ma – commenta l’industriale dell’alluminio Giorgio Cappello – è necessario per fare capire a tutti cosa potrebbesuccedere anche qui. Fare capire che l’illegalità, la criminalità organizzata, la mancanza di trasparenza,  l’informazione debole e disattenta agiscono come delle morse che soffocano l’economia e impediscono alle imprese di crescere e di svilupparsi».


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