La verità del boss che parlava di Dio e uccideva gli uomini. La doppia vita di un capo dei
capi, fatta di omertà e potere assoluto, raccontata nel memoriale di Michele Greco. Un’autobiografia che il padrino consegnò, a condanne già emesse, e che oggi viene ripresa e
commentata dalla cronaca di Francesco Viviano, inviato di Repubblica, nel suo libro “Michele Greco – Il Memoriale” (Aliberti editore, pp. 156, 13 euro), con un’intervista in esclusiva al procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che sarà presentato giovedì prossimo a Palermo, alle 18, alla libreria Khalesa. Era l’11 novembre del 1987, ultima udienza del primo maxiprocesso a Cosa nostra, quando poco prima che la Corte presieduta da Alfonso Giordano si ritirasse in camera di consiglio per emettere la sentenza, Michele Greco, il Papa della Mafia, chiese e ottenne la parola augurando »la pace« a tutta la Corte. Fu lui, il Papa, a chiudere, con un’intimidazione velata e agghiacciante, il processo che si concluse con pesantissime condanne. Fu lui a scrivere in carcere il primo e unico memoriale che porti la firma di un capo dei capi. Greco, l’imprenditore che inventò due nuovi tipi di agrumi e che al contempo era il più scaltro dei mafiosi, »documenta – come scrive Gaetano Savatteri nella prefazione del volume – con memoria puntuale un gesto, una battuta, una magnanimità. Nella sua memoria non c’è però una sola parola rispetto i morti ammazzati, alle persone che ha conosciuto e che sono state uccise, tranne qualche accenno ambiguo o stupito”. Viviano, invece, riporta le parole di quel memoriale e la vita di Greco, intingendo la penna nel solco dannato della mentalità mafiosa, intrisa di riti di sangue, di bugie e morte, di presunti codici d’onore e faide tra parenti. Fino a far riflettere sulla fine della mafia dei don, oggi decapitata di tutti i suoi vertici.
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